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A Ogni Costo
Jack Mars


Un Thriller Della Serie di Luke Stone #1
Tra i migliori del genere thriller. Gli appassionati, che amano gustarsi la precisa creazione di un thriller internazionale ma che sono anche alla ricerca di uno spessore psicologico e di un protagonista realistico costretto ad affrontare sfide sia sul terreno professionale che su quello private, troveranno A OGNI COSTO una storia avvincente, difficile da abbandonare. Midwest Book Review, Diane Donovan (su A ogni costo) Uno dei migliori thriller che ho letto quest’anno. La trama è intelligente e accattivante fin dalle prime pagine. L’autore ha fatto un lavoro superbo nel creare una serie di personaggi che vi piaceranno. Non vedo l’ora di leggere il seguito. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su A ogni costo) Quando una notte degli jihadisti rubano del materiale radioattivo da un ospedale non custodito di New York, la polizia, in una frenetica corsa contro il tempo, chiama l’FBI. E Luke Stone, capo di un dipartimento speciale e segreto interno all’FBI, è l’unico a cui possono rivolgersi. Luke capisce subito che l’obiettivo dei terroristi è creare una bomba sporca, che colpiranno un luogo importante per gli Stati Uniti, e che agiranno entro le prossime 48 ore. Segue una serrata caccia al topo, che vede in contrapposizione i più geniali agenti governativi contro i terroristi più sofisticati. Prova dopo prova e scontro dopo scontro, l’agente Stone non ci mette molto a scoprire di essersi trovato in mezzo a una cospirazione vastissima, il cui obiettivo è ancor più importante e iconico di quanto potesse immaginare – il presidente degli Stati Uniti. Con Luke incastrato per il crimine, la sua squadra minacciata e la sua stessa famiglia in pericolo, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Ma in quanto ex commando delle forze speciali, Luke si è trovato in posizioni difficili anche in passato, e non mollerà finché non riuscirà a fermarli – a ogni costo e con ogni mezzo. I colpi di scena si susseguono, mentre un uomo si trova solo a combattere un esercito di ostacoli e cospirazioni, fino al limite di ciò che può sopportare, e fino allo scioccante climax finale. Thriller politico al cardiopalma, con ambientazioni internazionali drammatiche e una suspense continua, A OGNI COSTO segna il debutto di una nuova esplosiva serie che vi farà girare pagina dopo pagina fino alla fine. E ora è disponibile anche il Libro secondo della serie di Luke Stone!







A OGNI COSTO



(UN THRILLER DELLA SERIE DI LUKE STONE—LIBRO PRIMO)



J A C K M A R S


Jack Mars



Jack Mars ГЁ un avido lettore, nonchГ© un appassionato da tutta la vita del genere thriller. A OGNI COSTO ГЁ il suo primo libro. Visita il suo sito internet www.Jackmarsauthor.com (http://www.Jackmarsauthor.com) per entrare a far parte della mailing list, ricevere un libro in omaggio e altri regali, e connettiti su Facebook e Twitter per non perdere le prossime uscite!



Copyright © 2015 di Jack Mars. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di aggiungerne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se intende rileggere l’e-book senza aver provveduto all’acquisto, o se l’acquisto non è stato effettuato per suo uso personale, è pregato di restituirlo e acquistare la sua copia. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright wavebreakmedia e Michael Rosskothen, utilizzata con il permesso di Shutterstock.com.


LIBRI DI JACK MARS



I THRILLER DELLA SERIE DI LUKE STONE



A OGNI COSTO (Libro primo)

IL GIURAMENTO (Libro secondo)

SALA OPERATIVA (Libro terzo)





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Ascolta (https://itunes.apple.com/us/audiobook/any-means-necessary-luke-stone/id1109547425) I thriller della seria di LUKE STONE nel format audiolibro!


INDICE



Capitolo 1 (#udd8fb0c6-e2d2-522a-a176-e8669fd0a741)

Capitolo 2 (#u8c4f34fe-ba91-533f-8f55-8ebc8a060728)

Capitolo 3 (#ubb000b1b-66a3-52b5-8d62-4ed42e8ab4be)

Capitolo 4 (#ud4aa7bf9-1e64-5bf2-a302-a4e6cd6b7413)

Capitolo 5 (#ucb0c82d1-8b29-550f-9bab-6b3a78871a2b)

Capitolo 6 (#u8c22840b-05df-541c-88d9-779875a9351d)

Capitolo 7 (#ue93cea1a-b345-541d-9aa1-1b6105ffe0a4)

Capitolo 8 (#u25e64e0c-f8de-567b-9ef6-408a5814f11e)

Capitolo 9 (#ua5c4e5e5-4b08-503f-ae49-31d9e10ac02c)

Capitolo 10 (#uffa12a04-692d-5108-8e20-181659b2180e)

Capitolo 11 (#u1c39c50b-7fa2-55c0-9fcd-0eb4b62e23a8)

Capitolo 12 (#uf40214e8-a41f-5ada-8963-9bc99d0c2c90)

Capitolo 13 (#uc2b54be6-8c5e-56a6-8654-3fb1e34002ab)

Capitolo 14 (#litres_trial_promo)

Capitolo 15 (#litres_trial_promo)

Capitolo 16 (#litres_trial_promo)

Capitolo 17 (#litres_trial_promo)

Capitolo 18 (#litres_trial_promo)

Capitolo 19 (#litres_trial_promo)

Capitolo 20 (#litres_trial_promo)

Capitolo 21 (#litres_trial_promo)

Capitolo 22 (#litres_trial_promo)

Capitolo 23 (#litres_trial_promo)

Capitolo 24 (#litres_trial_promo)

Capitolo 25 (#litres_trial_promo)

Capitolo 26 (#litres_trial_promo)

Capitolo 27 (#litres_trial_promo)

Capitolo 28 (#litres_trial_promo)

Capitolo 29 (#litres_trial_promo)

Capitolo 30 (#litres_trial_promo)

Capitolo 31 (#litres_trial_promo)

Capitolo 32 (#litres_trial_promo)

Capitolo 33 (#litres_trial_promo)

Capitolo 34 (#litres_trial_promo)

Capitolo 35 (#litres_trial_promo)

Capitolo 36 (#litres_trial_promo)

Capitolo 37 (#litres_trial_promo)

Capitolo 38 (#litres_trial_promo)

Capitolo 39 (#litres_trial_promo)

Capitolo 40 (#litres_trial_promo)

Capitolo 41 (#litres_trial_promo)

Capitolo 42 (#litres_trial_promo)

Capitolo 43 (#litres_trial_promo)

Capitolo 44 (#litres_trial_promo)

Capitolo 45 (#litres_trial_promo)

Capitolo 46 (#litres_trial_promo)

Capitolo 47 (#litres_trial_promo)

Capitolo 48 (#litres_trial_promo)

Capitolo 49 (#litres_trial_promo)

Capitolo 50 (#litres_trial_promo)

Capitolo 51 (#litres_trial_promo)

Capitolo 52 (#litres_trial_promo)

Capitolo 53 (#litres_trial_promo)

Capitolo 54 (#litres_trial_promo)

Capitolo 55 (#litres_trial_promo)

Capitolo 56 (#litres_trial_promo)

Capitolo 57 (#litres_trial_promo)


PARTE PRIMA




Capitolo 1


5 giugno, 1:15 a.m.

Contea di Fairfax, Virginia – Periferia di Washington D.C.



SquillГІ il telefono.

Luke Stone giaceva mezzo addormentato. Delle immagini gli passavano per la testa come flash. Era notte su un’autostrada bagnata dalla pioggia. Qualcuno era ferito. Un’automobile distrutta. Lontano, un’ambulanza si avvicinava, a tutta velocità. Si sentiva il vagito della sirena.

Aprì gli occhi. Accanto a lui sul comodino, nel buio della sua stanza, il telefono squillava. Un orologio digitale si trovava lì accanto. Diede un’occhiata ai numeri rossi.

“Gesù,” sospirò. Dormiva da forse mezz’ora.

La voce di sua moglie Rebecca, inspessita dal sonno: “Non rispondere.”

Un ciuffo dei suoi capelli biondi spuntГІ fuori da sotto le lenzuola. Una luce azzurra filtrava nella stanza da un lume da notte acceso nel bagno.

AlzГІ la cornetta.

“Luke,” disse una voce. Era profonda e rauca, con un leggerissimo accento nasale del sud. Luke la riconobbe fin troppo bene. Era Don Morris, il suo vecchio capo allo Special Response Team.

Luke si passò una mano tra i capelli. “Sì?”

“Ti ho svegliato?” chiese Don.

“Tu che ne dici?”

“Non ti avrei chiamato a casa. Ma il tuo cellulare non funzionava.”

Luke grugnì. “È perché l’ho spento.”

“Abbiamo avuto dei problemi, Luke. Ci servi tu.”

“Dimmi tutto,” disse Luke.

Ascoltò la voce parlare. Ben presto, provò la sensazione di un tempo – la sensazione che lo stomaco gli precipitasse di cinquanta piani in un ascensore velocissimo. Forse era per quello che aveva lasciato il lavoro. Non per via delle continue telefonate, non perché suo figlio stava crescendo così velocemente, ma perché non gli piaceva questa sensazione nello stomaco.

Era sapere che lo faceva star male. Sapere troppo. Pensò alle milioni di persone là fuori, che vivevano le loro vite felici, beatamente all’oscuro di cosa stava accadendo. Luke invidiava la loro ignoranza.

“Quando è successo?” chiese.

“Ancora non sappiamo niente. Un’ora fa, forse due. L’ospedale ha notato una violazione della sicurezza una quindicina di minuti fa. Sono scomparsi degli impiegati, quindi per ora sembra un lavoro fatto dall’interno. Lo scenario potrebbe cambiare non appena avremo informazioni migliori. Il NYPD è andato fuori di testa, per ovvie ragioni. Hanno chiamato duemila agenti in più, e per quanto ne capisco io non sono ancora abbastanza. La maggior parte di loro non riuscirà nemmeno a entrare fino al cambio del turno.”

“Chi ha chiamato la polizia?” chiese Luke.

“L’ospedale.”

“E chi ha chiamato noi?”

“Il capo della polizia.”

“Ha chiamato qualcun altro?”

“No. Tocca a noi.”

Luke annuì.

“Okay, bene. Facciamo così. I poliziotti devono mettere in sicurezza la scena del crimine. Ma devono restare fuori dal perimetro. Non vogliamo che ci passeggino sopra. Devono anche tener lontani i media. Se i giornali arrivano alla notizia, metteranno su un circo.”

“Fatto e fatto.”

Luke sospirò. “Hanno un paio d’ore di vantaggio. Non va bene. Sono di parecchio avanti a noi. Potrebbero essere ovunque.”

“Lo so. Il dipartimento di polizia sta controllando i ponti, i tunnel, le metropolitane, le ferrovie. Stanno controllando i dati dei caselli dell’autostrada, ma è come cercare un ago in un pagliaio. Nessuno ha il personale necessario per fronteggiare un caso del genere.”

“Quando ci vai?” chiese Luke.

Don non esitò. “Adesso. E tu verrai con me.”

Luke guardò ancora l’orologio. 1:23.

“Posso essere all’eliporto tra mezz’ora.”

“Ti ho già mandato una macchina,” disse Don. “L’autista ha appena chiamato. Sarà da te tra dieci minuti.”

Luke ripose il ricevitore.

Rebecca era mezza sveglia, la testa sollevata sul gomito, che lo fissava. Aveva i capelli lunghi, che le scendevano lungo le spalle. Gli occhi erano blu, incorniciati da spesse ciglia. Il suo bel viso era piГ№ magro di quando si erano conosciuti al college. Gli anni trascorsi lo avevano segnato di cure e preoccupazioni.

Luke se ne dispiaceva. Lo consumava sapere che il suo lavoro le avesse causato del dolore. Questa era un’altra ragione per cui lo aveva lasciato.

Ricordava com’era quando erano giovani, una donna che rideva e sorrideva sempre. Era spensierata, allora. Era passato molto tempo da quando aveva visto quella parte di lei. Pensava che forse questo tempo lontano dal lavoro l’avrebbe portata di nuovo alla luce, ma i progressi si facevano attendere. C’erano flash della vera Becca, certo, ma erano effimeri.

Era certo che lei non si fidasse della situazione. Che lei non si fidasse di lui. Stava aspettando quella telefonata nel cuore della notte, quella a cui lui avrebbe dovuto rispondere. Quella in cui lui avrebbe risposto al telefono, sarebbe sceso dal letto, e avrebbe lasciato la casa.

Era stata una buona notte, quella notte. Per poche ore gli era quasi sembrato di vivere i vecchi tempi.

E ora questo.

“Luke…” cominciò lei. Il suo sguardo non era amichevole. Quello sguardo gli disse che sarebbe stata una conversazione difficile.

Luke uscì dal letto e si mosse velocemente, un po’ perché le circostanze lo richiedevano, un po’ perché voleva andarsene prima che Becca riorganizzasse i pensieri. Scivolò nel bagno, spruzzò il viso con l’acqua e si diede un’occhiata allo specchio. Si sentiva sveglio ma aveva gli occhi stanchi. Il suo corpo era asciutto e forte – una cosa buona di questo periodo di vacanza erano i quattro giorni la settimana in palestra. Trentanove anni, pensò. Non male.

Dlla cabina armadio, prese una lunga cassaforte d’acciaio posta su un ripiano alto. Digitò a memoria la combinazione di dieci numeri. Il coperchio si aprì. Ne tirò fuori la sua Glock nove millimetri e la fece scivolare nella fondina ascellare in pelle. Si accovacciò e fissò una piccola calibro .25 al polpaccio destro. Assicurò un coltello seghettato a serramanico da dodici centimetri al polpaccio sinistro. Il manico fungeva anche da tirapugni d’ottone.

“Credevo che non avresti più tenuto armi in casa.”

Alzò gli occhi e Becca era ovviamente lì, che lo guardava. Indossava una vestaglia che le fasciava stretta il corpo. I capelli legati. Le braccia incrociate. Aveva il viso preoccupato e gli occhi attenti. La donna sensuale delle prime ore della notte se n’era andata. Lontano.

Luke scosse la testa. “Non l’ho mai detto.”

Si alzò e cominciò a vestirsi. Indossò dei pantaloni cargo neri e lasciò cadere un paio di caricatori extra per la Glock nelle tasche. Si mise una camicia elegante e aderente e assicurò lì la Glock. Si fece scivolare ai piedi degli stivali con punta in acciaio. Richiuse la scatola delle armi e la riposizionò sullo scaffale vicino alla sommità dell’armadio.

“E se Gunner trovasse la scatola?”

“È in alto, dove non può vederla né raggiungerla. Anche se in qualche modo la tirasse giù, è chiusa da una serratura digitale. La combinazione la conosco solo io.”

Una borsa porta abiti con due giorni di cambi era appesa allo scaffale. La afferrò. Su uno degli scaffali c’era una piccola borsa abbandonata contenente articoli per l’igiene personale da viaggio, occhiali da lettura, una pila di barrette energetiche e mezza dozzina di pillole di Dexedrine. Afferrò anche quella.

“Sempre pronto, vero Luke? Hai la tua scatola con le pistole e le tue borse con i vestiti e le tue pillole e sei sempre pronto a partire con un secondo di preavviso, in qualunque momento il tuo paese abbia bisogno di te. Ho ragione?”

Luke respirГІ profondamente.

“Non so cosa vuoi che dica.”

“Perché non dici: Ho deciso di non andare. Ho deciso che mia moglie e mio figlio sono più importanti di un lavoro. Voglio che mio figlio abbia un padre. Non voglio più che mia moglie se ne stia in piedi per notti infinite, a chiedersi se sono vivo o morto, o se mai tornerò. Puoi dirlo, per piacere?”

In momenti come questo, Luke sentiva crescere la distanza tra loro. Poteva quasi vederla. Becca era una piccola figura in un vasto deserto, che rimpiccioliva verso l’orizzonte. Voleva riportarla da lui. Lo voleva disperatamente, ma non sapeva come fare. Il lavoro chiamava.

“Papà va via ancora?”

Arrossirono entrambi. C’era Gunner in cima ai tre gradini che portavano in camera sua. Per un attimo, a Luke si bloccò il respiro in gola vedendolo. Sembrava Christopher Robin dei libri di Winnie the Pooh. I capelli biondi aggrovigliati in ciocche sulla testa. Indossava pantaloni del pigiama blu coperti di stelle e lune gialle. E una t-shirt di The Walking Dead.

“Vieni qui, mostro.”

Luke posГІ le borse a terra, e andГІ a prendere in braccio il figlio. Il bambino gli si aggrappГІ al collo.

“Sei tu il mostro, papà. Non io.”

“Okay. Il mostro sono io.”

“Dove vai?”

“Devo andarmene per lavoro. Forse per un giorno, forse per due. Ma tornerò appena possibile.”

“La mamma ti lascerà come aveva detto?”

Luke teneva Gunner in aria, con le braccia tese. Il bambino stava crescendo e Luke realizzò che presto un giorno non sarebbe più stato in grado di sollevarlo così. Ma quel giorno non era ancora arrivato.

“Ascoltami. La mamma non mi lascerà, e staremo tutti insieme per moltissimo tempo. Okay?”

“Okay, papà.”

Sparì in cima alle scale fin in camera sua.

Quando se ne fu andato, i due si guardarono attraverso la stanza. La distanza sembrava piГ№ piccola, ora. Gunner era il ponte tra loro due.

“Luke…”

Alzò le mani. “Prima che parli, voglio dirti qualcosa. Ti amo e voglio bene a Gunner più di qualsiasi altra cosa al mondo. Voglio stare con voi due, tutti i giorni, ora e per sempre. Non è che me ne vado perché mi va. Non mi va. Lo odio. Ma la telefonata di stanotte… c’è in gioco la vita di molte persone. Hai presente tutti gli anni in cui l’ho fatto, in cui vi ho lasciati nel bel mezzo della notte così? L’emergenza della situazione è stata al Livello Due esattamente due volte. La maggior parte delle volte era al Livello Tre.”

Il viso di Becca si era raddolcito del minimo indispensabile.

“E che livello di emergenza è questo?” chiese.

“Livello Uno.”




Capitolo 2


1:57 am

McLean, Virginia – Quartier generale dello Special Response Team



“Signore?” disse qualcuno. “Signore, siamo qui.”

Luke si svegliò di soprassalto. Si sedette. Erano parcheggiati al cancello dell’elisuperficie. Piovigginava. Guardò il conducente. Era un giovane con un taglio a spazzola, probabilmente appena uscito dalle forze armate. Il ragazzo sorrideva.

“Si era addormentato, signore.”

“Sì,” disse Luke. Il peso del lavoro lo assalì di nuovo. Voleva essere a casa, a letto con Rebecca, ma invece era qui. Voleva vivere in un mondo dove gli assassini non rubassero materiale radioattivo. Voleva dormire e sognare cose piacevoli. Al momento non riusciva neanche a immaginare cosa volesse dire piacevole. Il suo sonno era avvelenato dal sapere troppo.

Saltò giù dall’auto con le borse, mostrò alla guardia il documento identificativo e oltrepassò il body scanner.

Un elicottero nero lucido, un grosso Bell 430, si posò sulla pista, i rotori che giravano. Luke attraversò l’asfalto bagnato, chinandosi. Man mano che si avvicinava, il motore dell’elicottero ingranò un’altra marcia. Erano pronti a partire. La porta del passeggero si aprì e Luke si arrampicò dentro.

A bordo c’erano già sei persone, quattro nella cabina dei passeggeri, due davanti alla cabina di pilotaggio. Don Morris sedeva accanto alla finestra più vicina. Il posto di fronte a lui era vuoto. Don glielo indicò.

“Sono felice che tu sia venuto, Luke. Siediti. Benvenuto alla festa.”

Luke si assicurò al sedile anatomico mentre l’elicottero ondeggiava verso il cielo. Guardò Don. Don ormai era vecchio, con i capelli a spazzola incanutiti. La barba corta era grigia. Perfino le sopracciglia erano grigie. Ma sembrava ancora il comandante della Delta Force che una volta era. Il suo corpo era possente e il viso pareva granito – tutto promontori rocciosi e scogliere affilate. Gli occhi erano laser gemelli. Teneva un sigaro spento in una delle sue mani di pietra. Non ne accendeva uno da dieci anni.

Quando l’elicottero guadagnò altitudine, Don fece segno agli altri nella cabina passeggero. Diede rapidamente le istruzioni. “Luke, sei in svantaggio, perché tutti qui già sanno chi sei, ma tu potresti non conoscerli. Conosci Trudy Wellington, ufficiale scientifico e agente dell’intelligence.”

Luke annuì alla giovane ragazza carina con i capelli neri e i grandi occhiali rotondi. Aveva lavorato con lei diverse volte. “Ciao, Trudy.”

“Ciao, Luke.”

“Okay, piccioncini, basta così. Luke, quello laggiù è Mark Swann, il nostro tecnico informatico per questo lavoro. E con lui c’è Ed Newsam, armi e tattica.”

Luke annuì agli uomini. Swann era un ragazzo bianco, capelli biondo rossicci e occhiali, trentacinque o forse quarant’anni. Luke l’aveva visto una o due volte prima d’ora. Newsam era un giovane di colore che Luke non aveva mai visto, probabilmente appena trentenne, calvo, barba rasa tagliata finemente, ampio torace, con dei pitoni tatuati di sessanta centimetri che facevano capolino da una t-shirt bianca. Sembrava capace di creare l’inferno in uno scontro a fuoco, e ancora peggio in una rissa da strada. Quando Don aveva detto “armi e tattica”, voleva dire “muscoli”.

L’elicottero aveva raggiunto l’altitudine di crociera; Luke pensava sui tremila metri. L’elicottero si stabilizzò e Luke cominciò a muoversi. Questi cosi marciavano a circa 150 miglia all’ora. A quella velocità, ci sarebbe voluta un’ora e mezza buona per raggiungere New York City.

“Okay, Trudy,” disse Don. “Cos’hai per noi?”

Lo smartpad tra le sue dita risplendeva nel buio della cabina. Lei lo fissava. Le dava al viso una sfumatura inquietante, come fosse un demone.

“Partirò da zero,” disse.

“Ottimo.”

Cominciò. “Meno di un’ora fa, siamo stati contattati dall’unità antiterrorismo del Dipartimento di Polizia di New York. Nell’upper east side di Manhattan c’è un grande ospedale chiamato Center Medical Center. Conservano una gran quantità di materiale radioattivo in una camera blindata di contenimento sei piani al di sotto del livello della strada. Per la maggior parte i materiali sono scorie prodotte dalla terapia a radiazioni per pazienti affetti da cancro, ma originano anche da altri usi, come le radiografie. In un dato momento nel corso delle ultime ore, degli sconosciuti si sono infiltrati nell’ospedale, hanno violato il sistema di sicurezza e rimosso le scorie radioattive lì conservate.”

“Sappiamo quanto hanno preso?” chiese Luke.

Trudy consultò il pad. “Ogni quattro settimane, i materiali vengono rimossi e trasportati con un furgone in una struttura per il contenimento radioattivo nella Pennsylvania occidentale controllata congiuntamente dal Dipartimento della Sicurezza Interna e da quello per la Tutela Ambientale. L’ultima consegna è stata programmata a due giorni a partire da oggi.”

“Quindi circa ventisei giorni di scorie radioattive,” disse Don. “Di quanto si tratta?”

“L’ospedale non lo sa,” rispose Trudy.

“Non lo sanno?”

“Inventariano le scorie e registrano tutto in un database. Il database è stato violato e cancellato da chi ha rubato il materiale. Le quantità differiscono da mese a mese, a seconda dei trattamenti programmati. Possono ricreare l’inventario dai registri dei trattamenti, ma ci vorranno molte ore.”

“Non fanno il back up del database?” chiese Swann, l’informatico.

“Sì lo fanno, ma è stato ripulito anche il backup. A dire il vero, tutti i registri dell’ultimo anno sono stati cancellati.”

“Quindi si tratta di qualcuno che sa quello che fa,” disse Swann.

Luke prese la parola. “Come facciamo a sapere che è un’emergenza se non sappiamo nemmeno quanto è stato rubato?”

“Per molte ragioni,” disse Trudy. “Questo non è stato un semplice furto. È stato un attacco ben organizzato e pianificato. Le telecamere di videosorveglianza sono state spente in zone strategiche dell’ospedale. Incluse diverse entrate e uscite, scale e montacarichi, la camera blindata di contenimento e il garage del parcheggio.”

“Qualcuno ha parlato con le guardie di sicurezza?” chiese Luke.

“Le due guardie che presidiavano la console video sono state entrambe trovate morte dentro a una stanza per le attrezzature chiusa a chiave. Si trattava di Nathan Gold, un uomo bianco di cinquantasette anni, divorziato, tre figli, nessun legame conosciuto con il crimine organizzato o organizzazioni estremistiche. E poi Kitty Falkner, una donna di colore di trentatré anni, nubile, un figlio, nessun legame conosciuto con il crimine organizzato né con organizzazioni estremistiche. Gold lavorava in ospedale da ventitré anni. Faulkner ci lavorava da otto. I corpi erano nudi, le uniformi non sono state ritrovate. Sono stati entrambi strangolati, presentavano evidenti decolorazione facciale, gonfiore, trauma al collo e segni di legatura associati alla morte per strangolamento o a una tecnica similare. Ho delle foto se vuoi dare un’occhiata.”

Luke alzò una mano. “Va bene così. Ma presumiamo per un momento che siano stati degli uomini a farlo. Un uomo ucciderebbe una guardia donna per poi indossare la sua uniforme?”

“Faulkner era alta per essere una donna,” disse Trudy. “Era alta un metro e settantasette, e di corporatura massiccia. Un uomo avrebbe potuto indossare tranquillamente la sua uniforme.”

“È tutto quello che abbiamo?”

Trudy continuò. “No. C’è un impiegato dell’ospedale che era di turno e che al momento è scomparso. L’impiegato è un membro del personale di custodia di nome Ken Bryant. È un uomo di colore di ventinove anni che ha scontato un anno in detenzione predibattimento a Rikers Island, e poi trenta mesi al Clinton Correctional Center di Dannemora, New York. Colpevole di furto e aggressione semplice. Subito dopo il rilascio, ha completato un programma di recupero di sei mesi e un tirocinio formativo. Lavora in ospedale da quasi quattro anni, e la sua storia lavorativa è buona. Nessun problema di presenze, nessun problema disciplinare.

“In quanto custode, ha accesso alla camera blindata di contenimento del materiale pericoloso, e potrebbe conoscere le pratiche di sicurezza dell’ospedale e il personale. Ha avuto legami con trafficanti di droga e con una gang afroamericana della prigione chiamata Black Gangster Family. I trafficanti di droga erano spacciatori di strada di bassa lega del quartiere dove è cresciuto. Probabilmente si è aggregato alla gang per protezione personale.”

“Pensi che dietro a tutto questo ci sia una gang della prigione, o una gang di strada?”

Scosse la testa “Assolutamente no. Menziono le affiliazioni di Bryant perché ancora non sappiamo che pesci pigliare. Accedere e cancellare il database, così come sottrarre un sistema di videosorveglianza, richiede un’esperienza tecnica in genere non associabile a questo tipo di gang. Crediamo che il livello di sofisticazione e i materiali rubati facciano pensare a una cellula terroristica dormiente.”

“Cosa possono fare con le sostanze chimiche?” chiese Don.

“È logico pensare a un dispositivo a dispersione radiologica,” rispose Trudy.

“Una bomba sporca,” disse Luke.

“Bingo. Non c’è altra ragione di rubare scorie radioattive. L’ospedale non sa la quantità che è stata sottratta, ma sanno che roba è stata portata via. I prodotti chimici includono quantità di iridio-192, cesio-137, trizio e fluoro. L’iridio è altamente radioattivo, e l’esposizione concentrata può causare ustioni e malattia da radiazione nel giro di minuti o ore. Gli esperimenti hanno dimostrato che una piccola dose di cesio-137 uccide un cane di diciotto chili in tre settimane. Il fluoro è un gas caustico pericoloso per i tessuti molli come gli occhi, la pelle e i polmoni. A bassissime concentrazioni fa piangere gli occhi. Ad altissime concentrazioni infligge danni gravi ai polmoni, causando l’arresto respiratorio e la morte in pochi minuti.”

“Fantastico,” disse Don.

“Il punto qui,” disse Trudy, “sono le alte concentrazioni. Se sei un terrorista, per un lavoro come questo non vuoi un’amplia area di dispersione. Vorrebbe dire limitare l’esposizione. Vuoi preparare una bomba con il materiale radioattivo e un esplosivo convenzionale come la dinamite, e vuoi avviarla in uno spazio delimitato, preferibilmente con molte persone attorno. Una metropolitana affollata o una stazione metro nelle ore di punta. Centri per pendolari, come il Grand Central Terminal o la Penn Station. Una grande stazione degli autobus o un aeroporto. Un’attrazione turistica come la Statua della Libertà. Lo spazio delimitato massimizza le concentrazioni di radiazioni.”

Luke si immaginò l’angusta e claustrofobica tromba delle scale che si arrampicava fino alla cima della Statua della Libertà. Ogni giorno era assaltata da gente, spesso studenti in gita. Con l’immaginazione vide la Liberty Island piena di diecimila turisti, i traghetti ingorgati con a bordo ancor più persone, come le barche di rifugiati che salpano da Haiti.

Poi vide le banchine del Grand Central Terminal alle 7:30 del mattino, così affollate che i pendolari non riescono a stare in piedi. Cento persone in fila sulle scale, in attesa dell’arrivo del treno per poter svuotare la banchina, così che il prossimo gruppo di persone possa scendere. Immaginò una bomba esplodere in quella folla.

E poi le luci che si spengono.

Un’ondata di disgusto lo attraversò. Sarebbero morte più persone per il panico, nella calca dei corpi, che per l’esplosione iniziale.

Trudy continuò. “Il problema che ci ritroviamo ad affrontare è che ci sono troppi obiettivi sensibili per tenerli d’occhio tutti, e l’attentato non deve avvenire per forza a New York. Se il furto è avvenuto fino a tre ore fa, allora dobbiamo già guardare a un possibile raggio operativo di almeno centocinquanta miglia. Incluse la città di New York e la sua periferia, Philadelphia e le maggiori città nel New Jersey, come Newark, Jersey City e Trenton. Se i ladri rimangono a piede libero un’altra ora, si può allargare il raggio fino a includere Boston e Baltimora. L’intera regione è un centro popolato. In un raggio così ampio, potremmo dover prendere in considerazione fino a diecimila possibili obiettivi facili da colpire. Anche se si attengono a obiettivi importanti, di alto profilo, stiamo comunque parlando di centinaia di luoghi.”

“Okay, Trudy,” disse Luke. “Ci hai esposto i fatti. Ora, tu che idea ti sei fatta?”

Trudy scrollò le spalle. “Penso che possiamo dedurre che qui si tratta di un attacco con una bomba sporca, finanziato da un paese straniero o forse da un gruppo terroristico indipendente, come l’ISIS o Al-Qaeda. Potrebbero essere coinvolti anche degli americani o dei canadesi, ma il controllo operativo è da un’altra parte. Di sicuro non si tratta di un gruppo nazionale locale, come gli ambientalisti o i fautori della supremazia bianca.”

“Perché? Perché non può essere un gruppo interno?” chiese Luke. Sapeva già il perché, ma era importante dirlo esplicitamente, fare un passo alla volta, senza lasciarsi sfuggire nulla.

“I militanti di sinistra hanno bruciato i concessionari Hummer nel bel mezzo della notte. Praticano il tree spiking per scoraggiare il disboscamento, ma segnano gli alberi trattati perché non si faccia male nessuno. Non hanno storia di attacchi ad aeree popolate o di omicidi, e odiano la radioattività. La destra è più violenta, e Oklahoma City ha dimostrato che sono capaci di attaccare le popolazioni civili così come i simboli del governo. Ma nessuno dei due gruppi probabilmente ha la formazione per fare questo. E c’è un’altra buona ragione per cui probabilmente non si tratta di loro.”

“Quale?” chiese Luke.

“L’iridio ha un periodo di dimezzamento breve,” disse Trudy. “Sarà praticamente inutilizzabile tra un paio di giorni. Inoltre, chiunque abbia rubato questi elementi chimici deve agire in fretta prima di essere colpito lui stesso dalla malattia da raggi. Il mese sacro ai musulmani del Ramadan comincia stanotte al tramonto. Quindi credo che qui abbiamo un attentato concepito per coincidere con l’inizio del Ramadan.”

Luke quasi sospirò di sollievo. Conosceva e lavorava con Trudy da qualche anno. La sua capacità come agente dell’intelligence era sempre stata buona, e la sua abilità di imbastire scenari eccezionale. Aveva ragione molto più spesso di quanto avesse torto.

Guardò l’orologio. Erano le 3:15. Il tramonto probabilmente sarebbe stato attorno alle otto, stanotte. Fece un rapido calcolo mentale. “Quindi pensi che abbiamo più di sedici ore per beccare queste persone?”

Sedici ore. Cercare un ago in un pagliaio era una cosa. Ma avere sedici ore per farlo, con la tecnologia più avanzata e le persone migliori, era decisamente un’altra. Era quasi troppo bello per essere vero.

Trudy scosse la testa. “No. Il problema con il Ramadan è che comincia al tramonto, ma il tramonto di chi? A Teheran stanotte il tramonto sarà alle 20:24, cioè alle 10:54 qui. Ma se prendono in considerazione l’inizio del Ramadan da qualche altra parte del mondo, per esempio in Malesia o in Indonesia? Potremmo dover avere a che fare con qualcosa che al più presto comincerà alle 7:24 del mattino, ipotesi che avrebbe anche senso perché è l’inizio dell’ora più affollata della giornata.”

Luke grugnì. Fissò lo sguardo fuori dal finestrino verso la grande megalopoli illuminata sotto di lui. Diede un’altra occhiata all’orologio. Le 3:20. Davanti, all’orizzonte, poteva vedere gli alti edifici della Lower Manhattan, e le luci blu gemelle che svettavano alte fino al cielo dove un tempo c’era stato il World Trade Center. Fra tre ore, le metropolitane e le stazioni ferroviarie avrebbero cominciato a riempirsi di pendolari.

E là fuori, da qualche parte, c’erano persone che pianificavano di uccidere quei pendolari.




Capitolo 3


3:35 a.m.

East Side di Manhattan



“Sembrano proprio ratti,” disse Ed Newsam.

L’elicottero planò sull’East River. Sotto di loro c’era l’acqua scura che scorreva veloce, in piccole onde che si gonfiavano e sgonfiavano. Luke riusciva a capire quello che Ed voleva dire. L’acqua era come migliaia di ratti che correvano sotto una nera coperta iridescente.

Atterrarono piano sull’eliporto della 34ma strada. Luke guardò le luci degli edifici alla sua sinistra, un milione di gioielli scintillanti nella notte. Ora che erano qui, una sensazione di fretta gli montò dentro. Il cuore gli perse un battito. Era rimasto calmo durante il lungo volo, perché che altro poteva fare? Ma l’orologio ticchettava, e dovevano muoversi. Quasi saltò fuori dall’elicottero prima che toccasse terra.

Atterrò con un sobbalzo e un sussulto, e istantaneamente tutti nella cabina si slacciarono le cinture. Don aprì con uno strattone la porta. “Andiamo,” disse.

La cancellata che dava sulla strada si trovava a una ventina di metri dall’eliporto. Tre SUV aspettavano appena fuori dalle barriere in cemento. Una squadra dell’SRT di New York corse verso l’elicottero e tirò giù le borse dell’equipaggiamento. Un uomo prese la borsa porta abiti e lo zaino di salvataggio di Luke.

“Piano con quelle,” disse. “L’ultima volta che sono venuto qui, mi avete perso le borse. Non avrò tempo di fare shopping.”

Luke e Don si arrampicarono nell’auto di testa, Trudy scivolò dentro con loro. Il SUV era stato adattato per avere un locale passeggeri con sedili che si guardassero. Luke e Don guardavano avanti, mentre Trudy guardava dietro. Il mezzo partì quasi prima che si fossero seduti. In un minuto erano dentro all’angusto canyon della FDR Drive, verso nord. I taxi gialli sfrecciavano tutto intorno a loro, come un nugolo di api.

Nessuno parlava. Il SUV correva, abbracciando le curve di cemento, attraversando tunnel formati da edifici pericolanti, rimbalzando sulle buche. Luke riusciva a sentire il cuore battergli nel petto. Non era la guida ad accelerargli il polso. Era l’aspettativa.

“Sarebbe stato carino venire qui per divertirsi un po’,” disse Don. “Alloggiare in un bel hotel, magari vedere uno spettacolo a Broadway.”

“La prossima volta,” disse Luke.

Fuori dal finestrino, l’auto aveva già lasciato l’autostrada. Era l’uscita della 96ma. L’autista si fermò appena a un semaforo, poi svoltò a sinistra e proseguì a tutto gas lungo la strada vuota.

Luke guardò il SUV ruggire nell’ampia strada d’accesso dell’ospedale. Era un momento tranquillo della notte. Accostarono proprio davanti alle luminose luci del pronto soccorso. Un uomo in un completo a tre pezzi era lì in piedi ad aspettarli.

“Elegante,” disse Luke.

Don toccò Luke con un grosso dito. “Dimmi un po’, Luke. Abbiamo un trattamento speciale per te stanotte. Quand’è stata l’ultima volta che hai indossato una tuta antiradiazioni hazmat?”




Capitolo 4


4:11 a.m.

Sotto al Center Medical Center, Upper East Side



“Non troppo stretto,” bofonchiò Luke tenendo in bocca un termometro di plastica.

Trudy aveva posizionato il sensore di un monitor di pressione portatile sul petto di Luke. Il sensore gli strinse il petto forte e poi ancora piГ№ forte, poi lentamente allentГІ la presa, rantolando nel mentre. Trudy strappГІ via il velcro sul sensore e quasi con lo stesso gesto gli levГІ il termometro.

“Che cosa dice?” chiese.

Lei guardò i display. “Hai la pressione alta,” disse. “138 su 85. Cuore a riposo 97. Temperatura 38. Non ti mentirò, Luke. Potresti avere dei valori migliori.”

“Sono stato un po’ stressato ultimamente,” disse Luke.

Trudy scrollò le spalle. “I valori di Don sono migliori dei tuoi.”

“Sì, ma prende le statine.”

Luke e Don sedevano insieme in boxer e t-shirt su una panchina di legno. Erano in un magazzino sotterraneo al di sotto dell’ospedale. Pesanti tende in vinile erano appese tutte intorno a loro, delimitando l’area. Era freddo e umido lì sotto, e un brivido corse lungo la schiena di Luke. La struttura per il contenimento radioattivo violata era due piani più sotto.

La gente girovagava. C’erano due ragazzi dell’SRT di New York. Questi avevano predisposto due tavole pieghevoli con sopra una serie di laptop e display video. C’era il tizio in tre pezzi, che era un agente dell’intelligence dell’unità antiterrorismo del NYPD.

Ed Newsam, il ragazzone armi e tattica che Luke aveva conosciuto sull’elicottero, si fece strada attraverso le tende in vinile con altri due ragazzi dell’SRT dietro di lui. Ognuno portava con sé un pacco trasparente sigillato con dentro del materiale giallo brillante.

“Attenzione,” disse Newsam a voce alta, spezzando il chiacchiericcio. Puntò due dita verso i suoi occhi. “Don e Luke, occhi a me, per favore.”

Newsam teneva una bottiglia d’acqua in ogni mano. “So che l’avete già fatto tutti e due prima, ma lo rifarete come fosse la prima volta, in modo che non ci siano errori. Questi uomini dietro di me controlleranno le vostre tute per voi, e poi vi aiuteranno a indossarli. Queste sono tute hazmat di livello A, e sono di solido vinile. Farà caldo lì dentro, e ciò vuol dire che suderete. Quindi prima di cominciare, ho bisogno che cominciate a bere queste bottiglie d’acqua. Sarete felici di averlo fatto.”

“C’è mai stato qualcuno qui sotto prima di noi?” chiese Luke.

“Sono scese due guardie dopo la scoperta della violazione nella sicurezza. Le luci sono KO. Swann ha provato a riaccenderle, ma senza fortuna. Quindi è buio qui sotto. Le guardie avevano delle torce, ma quando hanno trovato la camera blindata aperta e contenitori e barili sparsi in giro, se la sono squagliata in un attimo.”

“Sono stati esposti?”

Newsam sorrise. “Un po’. Le mie figlie li useranno come luci da notte per qualche giorno. Non avevano su le tute, ma sono stati qui sono un minuto. Voi ci resterete più a lungo.”

“Riuscirai a vedere quello che vediamo noi?”

“Abbiamo installato ai vostri cappucci videocamere e luci LED. Vedrò quello che vedete voi, e lo registrerò.”

Ci vollero venti minuti per vestirsi. Luke si sentiva frustrato. Era difficile muoversi all’interno della tuta. Era coperto dalla testa ai piedi di vinile, e lì dentro cominciava già a fare caldo. Il cappuccio continuava ad appannarsi. Sembrava che il tempo volasse. I ladri erano lontanissimi.

Lui e Don guidarono l’ascensore merci insieme. Lentamente cigolava giù. Don portava il contatore Geiger. Sembrava una piccola batteria di un’auto con un manico.

“Mi sentite bene?” chise Newsam. Sembrava che fosse dentro alla testa di Luke. I caschi avevano casse e microfoni incorporati.

“Sì,” disse Luke.

“Ti sento,” disse Don.

“Bene. Io vi sento entrambi forte e chiaro. Siamo su una frequenza vicina. Le sole persone qui siete voi, ragazzi, poi io e Swann su alla stazione di controllo video. Swann ha accesso a una mappa digitale della struttura e quelle tute sono dotate di dispositivi di rilevamento. Swann può vedervi sulla mappa, e vi guiderà dall’ascensore alla camera blindata. Ci sei, Swann?”

“Ci sono,” rispose Swann.

L’ascensore sbandò fino a fermarsi.

“Quando le porte si aprono, fate un passo fuori e girate a sinistra.”

I due si mossero goffamente lungo un ampio corridoio, guidati dalla voce di Swann. Le luci dei cappucci giocavano contro i muri, gettando ombre nel buio. Ricordarono a Luke le immersioni in relitto che aveva fatto molti anni prima.

In pochi secondi, il contatore Geiger cominciò a fare click. I click si sentivano lontani, all’inizio, come il lento battere di un cuore.

“Abbiamo delle radiazioni,” disse Don.

“Lo vediamo. Non ti preoccupare. Non è un male. La macchina che stai trasportando è sensibile.”

I click cominciarono a velocizzarsi e a suonare piГ№ forte.

La voce di Swann: “Tra circa un metro, girate a destra, poi seguite quel corridoio per una decina di metri. Si aprirà in una larga stanza quadrata. La camera di contenimento si trova dall’altra parte della stanza.”

Quando svoltarono a destra, il contatore Geiger cominciò a mandare segnali forti e veloci. Era un torrente di click. Era difficile distinguerne uno dall’altro.

“Newsam?”

“Svelti, signori. Proviamo a farcela in cinque minuti o meno.”

Entrarono nella stanza. Il posto era un disastro. Sul pavimento erano rovesciati contenitori, scatole e grossi barili di metallo, lasciati lì a caso. Alcuni erano aperti. Luke orientò la sua luce sulla camera blindata dall’altra parte della stanza. La pesante porta era aperta.

“Vedi?” chiese Luke. “Godzilla deve essere passato di qui.”

La voce di Newsam si fece sentire di nuovo. “Don! Don! Orienta la luce e la telecamera sul pavimento, un metro e mezzo più avanti. Lì. Qualche centimetro ancora. Cosa c’è per terra?”

Luke si girГІ verso Don e puntГІ la luce nello stesso posto. A circa tre metri da lui, fra i rottami, erano sparpagliati quelli che sembravano mucchi di stracci.

“È un corpo,” disse Don. “Merda.”

Luke si mosse in quella direzione e vi puntò la luce. La persona era grande, indossava quel che sembrava un’uniforme delle guardie. Luke si accucciò accanto al corpo. C’era una macchia scura sul pavimento, come una brutta perdita di olio sotto a un’automobile. La testa era di sghembo, di fronte a lui. Tutto, al di sopra degli occhi, era sparito, la fronte esplosa in un cratere. Luke ci girò intorno fino alla nuca, cercando a tentoni un buco più piccolo. Persino attraverso gli spessi guanti chimici lo trovò.

“Che cos’hai lì, Luke?”

“Ho un grosso uomo, dai 18 ai 30 anni, arabo, persiano o con discendenti mediterranei. C’è molto sangue. Ha ferite in entrata e in uscita consistenti in uno sparo alla parte posteriore della testa. Sembra un’esecuzione. Potrebbe essere un’altra guardia o potrebbe essere uno dei nostri soggetti che ha litigato con i suoi amichetti.”

“Luke,” disse Newsam. “Nella tua cintura multiuso hai un piccolo scanner di impronte. Vedi se riesci a tirarlo fuori e a prendere un’impronta di questo tizio.”

“Non credo sarà possibile,” disse Luke.

“Coraggio. I guanti sono scomodi, ma io so dov’è lo scanner. Posso portartici.”

Luke puntò la videocamera verso la mano destra dell’uomo. Ogni dito era un moncone a brandelli, fino alla prima nocca. Diede un’occhiata all’altra mano. Era lo stesso.

“Si sono portati via le impronte,” disse.




Capitolo 5


Luke e Don, di nuovo in abiti normali, percorrevano velocemente il corridoio dell’ospedale con l’elegantone dell’unità antiterrorismo del NYPD. Luke non aveva neanche capito come si chiamasse il tizio. Nella sua testa lo chiamava Tre-Pezzi. Stava per dare al tizio gli ordini. Dovevano far delle cose, e per questo avevano bisogno della cooperazione della città.

Stava prendendo il comando, come tendeva sempre a fare. Diede un’occhiata a Don, e lui gli diede il suo consenso con un cenno. Ecco perché Don si era portato dietro Luke: perché prendesse il comando. Diceva sempre che Luke era nato per fare il quarterback.

“Voglio contatori Geiger su ogni piano,” disse Luke. “Da qualche parte lontano dal pubblico. Non abbiamo percepito alcuna radiazione fino al sesto piano sotterraneo, ma se comincia a salire dobbiamo far uscire tutti, e velocemente.”

“L’ospedale ha pazienti tenuti in vita artificialmente,” disse Tre-Pezzi. “È difficile spostarli.”

“Vero. Allora cominciamo a organizzarci per l’evacuazione adesso.”

“Okay.”

Luke proseguì. “Avremo bisogno di un intera squadra di emergenza quaggiù. Ci serve che quel corpo venga portato su, non importa quanto sia contaminato, e ci serve che tutto venga fatto velocemente. La ripulitura può aspettare finché non abbiamo il corpo.”

“Afferrato,” disse Tre-Pezzi. “Lo metteremo in una bara saldata in piombo, e lo porteremo al coroner in un camion di contenimento radioattivo.”

“Si può fare silenziosamente?”

“Certo.”

“Ci serve un match per le impronte dentali, il DNA, cicatrici, tatuaggi, lesioni chirurgiche, qualsiasi cosa possiamo trovare. Una volta avuti i dati, passali a Trudy Wellington del nostro team. Ha accesso a database preclusi al tuo gruppo.”

Luke tirГІ fuori il telefono e compose un numero con la selezione rapida. Lei rispose al primo squillo.

“Trudy, dove sei?”

“Sono con Swann sulla Quinta Strada, dietro a una delle nostre macchine, stiamo andando al centro di comando.”

“Senti, ho…” Guardò Tre-Pezzi. “Come ti chiami?”

“Kurt. Kurt Myerson.”

“Ho Kurt Myerson del NYPD qui con me. È con l’unità antiterrorismo. Porteranno su il corpo. Ho bisogno che gli parli per avere le impronte dentali, il DNA, qualsiasi identificatore. Quando hai i dati, voglio sapere il nome, l’età, il paese di origine, i colleghi, tutto di questo tizio. Devo sapere dove è stato e cosa ha fatto negli ultimi sei mesi. E ho bisogno di tutto ieri.”

“Ricevuto, Luke.”

“Fantastico. Grazie. Ti passo Kurt, ti darà il suo numero diretto.”

Luke porse a Kurt il telefono. I tre uomini attraversarono una serie di doppie porte, rallentando di pochissimo. In un attimo, Kurt ritornГІ il telefono a Luke.

“Trudy? Sei sempre lì?”

“Dove altro potrei essere?”

Luke annuì. “Bene. Un’ultima cosa. Le telecamere di sorveglianza sono spente qui nell’ospedale, ma ce ne saranno in tutto il circondario. Quando arrivi al centro di comando, prendi un paio dei nostri. Fagli scoprire tutto quello che possono nel raggio di cinque isolati dal posto, e tirami fuori delle registrazioni video, facciamo dalle 8 della sera fino all’1:00 di notte. Voglio dare un’occhiata a ogni veicolo commerciale o di consegna che si è avvicinato all’ospedale in quelle ore. La priorità massima va ai furgoncini delle consegne, ai camion del pane, degli hot dog, cose del genere. Qualsiasi cosa di piccolo, comodo, che possa trasportare un carico nascosto. Di minore priorità sono gli articolati, gli autobus e le ruspe, ma non lasciarteli sfuggire. La priorità più bassa va ai camper, ai pick-up e ai SUV. Voglio degli screen delle targhe, e voglio la proprietà dei veicoli tracciati. Se ne trovi uno di sospetto, cerca altre videocamere per quel veicolo su un raggio più ampio, e scopri dove è andato.”

“Luke,” disse lei, “Avrò bisogno di più di un paio di persone per questo.”

Luke ci pensò su per qualche secondo. “Okay. Sveglia alcuni di quelli a casa, portali al quartier generale dell’SRT, e inoltragli le targhe. Possono ricavare i nomi dei proprietari da lì.”

“Ricevuto.”

Riattaccarono. Luke tornò a concentrarsi sul momento presente, e gli venne in mente qualcos’altro. Guarò Kurt Myerson.

“Okay, Kurt. Ecco la cosa più importante. Questo ospedale deve essere chiuso. Gli impiegati che erano di turno stanotte devono essere raggruppati e isolati. La gente chiacchiererà, lo capisco, ma dobbiamo tenere tutto fuori dalla portata dei media finché possiamo. Se viene fuori qualcosa, ci sarà il panico, ci saranno diecimila telefonate di false piste alla polizia, e i cattivi seguiranno le indagini passo passo alla tv. Non possiamo permettere che succeda.”

Attraversarono un’altra serie di doppie porte fino all’ingresso principale dell’ospedale. Tutta la facciata dell’ingresso era di vetro. Molte guardie della sicurezza stavano in piedi vicino alle porte principali chiuse.

Fuori era il casino. Una folla di reporter si spingeva contro le barriere della polizia sul marciapiedi. Fotografi schiacciati contro le finestre, che scattavano foto degli interni dell’ingresso. Dieci furgoni dei telegiornali erano parcheggiati uno dietro all’altro sulla strada. Mentre Luke guardava, tre diversi reporter della tv stavano filmando proprio davanti all’edificio.

“Dicevi?”




Capitolo 6


5:10 a.m.

Dentro a un furgone



Eldrick era malato.

Sedeva nel retro del furgone, abbracciandosi le ginocchia, chiedendosi in cosa si fosse cacciato. Ne aveva vista di merda in prigione, ma niente del genere.

Di fronte a lui, Ezatullah era al telefono, urlava qualcosa in farsi. Ormai erano ore che faceva telefonate. Le parole non significavano niente per Eldrick. Sembrava tutto un borbottio senza senso. In realtà Ezatullah aveva studiato a Londra come ingegnere chimico, ma invece di ottenere un lavoro era andato in guerra. E ora appena trentenne, con una grossa cicatrice che gli attraversava una guancia, lì a dire che aveva finanziato la jihad in una mezza dozzina di paesi – e che era venuto in America per fare lo stesso.

Urlò nel telefono ancora parecchio prima di prendere la linea. Quando finalmente riuscì a parlare con qualcuno, si buttò a capofitto nel primo di molti litigi urlati. Dopo qualche minuto, si calmò e si mise in ascolto. Poi riattaccò.

Il viso di Eldrick era rosso. Aveva la febbre. Poteva sentirsela bruciare dentro al corpo. Il cuore correva all’impazzata. Non aveva vomitato, ma si sentiva come se stesse per farlo. Attendevano al punto di incontro sulla riva del South Bronx da più di due ore. Doveva essere una cosetta facile. Rubare il materiale, guidare il furgone per dieci minuti, incontrare i contatti e andarsene a piedi. Ma i contatti non si erano mai fatti vedere.

Ora si trovavano… da qualche parte. Eldrick non sapeva dove. Aveva perso i sensi per un po’. Era di nuovo sveglio, ma tutto sembrava un sogno vago. Erano sull’autostrada. Momo guidava, quindi lui doveva sapere dove stavano andando. Esperto di tecnologie, Momo, secco senza tono muscolare, era la perfetta rappresentazione del suo personaggio. Era così giovane che la pelle liscia del viso non aveva una singola ruga. Sembrava che non sarebbe stato capace di farsi crescere la barba nemmeno se il futuro di Allah in persona fosse dipeso da quello.

“Abbiamo nuove istruzioni,” disse Ezatullah.

Eldrick gemette, desiderando di essere morto. Non sapeva che fosse possibile stare così male.

“Devo uscire da questo furgone,” disse Eldrick.

“Chiudi il becco, Abdul!”

Eldrick aveva dimenticato: il suo nome era Abdul Malik adesso. Era strano sentirsi chiamare Abdul, lui, Eldrick, un orgoglioso uomo nero, un orgoglioso americano per la maggior parte della sua vita. Sentendosi così male, desiderò non averlo mai cambiato. Convertirsi in prigione era stata la cosa più stupida che avesse mai fatto.

Tutta quella merda nel retro. Ce n’era tanta, in ogni tipo di contenitore e scatola. Un po’ era filtrata fuori, e ora li stava uccidendo. Aveva già ucciso Bibi. Quel cretino aveva aperto un contenitore quando erano ancora nella camera blindata. Era incredibilmente forte e aveva strappato via il coperchio. Perché l’aveva fatto? Eldrick lo rivedeva lì a prendere in mano il contenitore. “Non c’è niente qui,” aveva detto. Poi se l’era avvicinato al naso.

Nel giro di un minuto, aveva cominciato a tossire. Praticamente era affondato sulle sue ginocchia. Poi a quattro zampe, a tossire. “Ho qualcosa nei polmoni,” diceva. “Non riesco a buttarlo fuori.” Si era messo a rantolare. Il suono era orribile.

Ezatullah si era avvicinato e gli aveva sparato alla nuca.

“Credimi, gli ho fatto un favore,” aveva detto.

Adesso il furgone stava attraversando un tunnel. Il tunnel era lungo e stretto e buio, con luci arancioni che sfrecciavano sopra la testa. Le luci diedero a Eldrick le vertigini.

“Devo uscire da questo furgone!” urlò. “Devo uscire da questo furgone! Devo…”

Ezatullah si voltГІ. Aveva tirato fuori la pistola. La puntГІ alla testa di Eldrick.

“Zitto! Sono al telefono.”

La faccia tagliata in due di Ezatullah era rossa. Stava sudando.

“Mi ucciderai come hai fatto con Bibi?”

“Ibrahim era mio amico,” disse Ezatullah. “L’ho ucciso per pietà. A te ti ucciderò solo per farti stare zitto.” Premette la bocca della pistola contro la fronte di Eldrick.

“Sparami. Non me ne frega niente.” Eldrick chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, Ezatullah si era voltato dall’altra parte. Erano ancora nel tunnel. Le luci erano troppe. Un’improvvisa ondata di nausea attraversò Eldrick, e uno spasmo sempre più urgente gli prese il corpo. Gli si contrasse lo stomaco e sentì dell’acido in gola. Si piegò e si vomitò sul pavimento tra le scarpe.

PassГІ qualche secondo. La puzza gli arrivГІ al viso, e si svuotГІ di nuovo.

Oh Dio, pregГІ silenziosamente. Ti prego lasciami morire.




Capitolo 7


5:33 a.m.

East Harlem, quartiere di Manhattan



Luke trattenne il respiro. Non gli piacevano molto i rumori forti, e un cazzo di rumore forte stava per arrivare.

Restò completamente immobile nella tetra luce di un caseggiato di Harlem. Aveva estratto la pistola, la schiena schiacciata contro la parete. Dietro di lui, Ed Newsman stava quasi nella sua stessa posizione. Di fronte a loro nell’angusto corridoio, una mezza dozzina di membri della SWAT con elmetti e giubbotto protettivo era ai lati delle porte dell’appartamento.

Nell’edificio c’era un silenzio di tomba. Granelli di polvere volteggiavano nell’aria. Qualche momento prima, un piccolo robot aveva fatto scivolare un minuscolo telescopio con videocamera al di sotto della soglia, in cerca di esplosivi fissati alla porta. Negativo. Ora il robot si era ritirato.

Due tizi della SWAT entrarono con un pesante ariete. Era di quelli a oscillazione, e ogni agente reggeva il manico su ogni lato. Non fecero alcun rumore. Il capo del team SWAT alzГІ il pugno. Apparve il dito indice.

Uno.

Medio. Due.

Anulare …

I due uomini indietreggiarono e fecero oscillare l’ariete. BAM!

La porta esplose verso l’interno mentre i due agenti ripiegavano. Gli altri quattro sciamarono dentro, strillando all’improvviso, “Giù! Giù! A TERRA!”

Da qualche parte lungo il corridoio, un bambino si mise a piangere. Si aprirono porte, fecero capolino teste, poi si ritirarono negli appartamenti. Si era alle solite. A volte i poliziotti venivano e buttavano giГ№ la porta di un vicino.

Ed e Luke aspettarono per una trentina di secondi finché la SWAT ebbe messo in sicurezza l’appartamento. Il corpo era sul pavimento del salotto, dove Luke aveva sospettato dovesse essere. Lo guardò appena.

“Libero?” chiese al capo della SWAT. Il tizio gli diede un’occhiataccia. C’era stato un piccolo litigio quando Luke aveva comandato il suo team. Questi erano del NYPD. Non erano pedine su una scacchiera che i federali potevano muovere per il capriccio di un solo uomo. Volevano che Luke lo sapesse. A Luke andava bene, ma un attacco terroristico era difficilmente un capriccio di un solo uomo.

“Libero,” disse il capo. “Quello probabilmente è il tuo soggetto.”

“Grazie,” disse Luke.

Il tizio scrollò le spalle e si voltò da un’altra parte.

Ed si chinГІ sul corpo. Portava con sГ© uno scanner per impronte. Prese le impronte da tre dita.

“Cosa ne pensi, Ed?”

Scrollò le spalle. “Ho caricato qui le impronte di Ken Bryant dal database della polizia. Dovremmo sapere se c’è una corrispondenza in pochi secondi. Nel frattempo, abbiamo evidenti segni di legatura e di gonfiore. Il corpo è ancora piuttosto caldo. Il rigor mortis è cominciato, ma non è completo. Le dita stanno diventando blu. Direi che è morto come la guardia dell’ospedale, per strangolamento, grosso modo dalle otto alle dodici ore fa.”

Alzò la testa verso Luke. C’era un bagliore nei suoi occhi. “Se vuoi abbassargli i pantaloni per me, posso prendergli la temperatura rettale e restringere un po’ il lasso di tempo.”

Luke sorrise e scosse la testa. “No grazie. Tra le otto e le dodici ore va bene. Dimmi una cosa, però: è lui?”

Ed diede un’occhiata allo scanner. “Bryant? Sì, è lui.”

Luke prese il telefono e compose il numero rapido di Trudy. Dall’altra parte, il telefono squillava. Una volta, due, tre. Luke guardò la cupa desolazione dell’appartamento. I mobili del salotto erano vecchi, con i rivestimenti strappati e della roba che usciva dai braccioli del divano. Un tappeto logoro era disteso sul pavimento, e contenitori vuoti del takeaway e utensili di plastica erano sparsi sulla tavola. Pesanti tende nere coprivano le finestre.

La voce di Trudy si fece sentire, vigile, quasi musicale. “Luke,” disse. “Da quanto tempo? Mezz’oretta?”

“Voglio parlare del custode.”

“Ken Bryant,” disse.

“Esatto. Non è più scomparso. Io e Newsam siamo nel suo appartamento. Abbiamo un riscontro positivo. È morto tra le otto e le dodici ore fa. Strangolato, come le guardie.”

“Okay,” disse.

“Voglio che accedi ai suoi conti bancari. Probabilmente aveva un deposito diretto dal suo lavoro all’ospedale. Comincia con quello e muoviti da lì.”

“Mmm, avrò bisogno di un mandato per questo.”

Luke fece una pausa. Capiva la sua esitazione. Trudy era una brava agente. Era anche giovane e ambiziosa. Rompere le regole aveva fatto deragliare molte carriere promettenti. Ma non sempre. A volte rompere le regole era una via rapida per la promozione. Dipendeva tutto da quali regole rompevi, e dalle conseguenze.

“Lì con te c’è Swann?” chiese Luke.

“Sì.”

“Allora il mandato non ti serve.”

Lei non rispose.

“Trudy?”

“Sono qui.”

“Non abbiamo il tempo di procurarci un mandato. Ci sono vite in pericolo.”

“Bryant è un sospettato in questo caso?”

“È una persona di interesse. In ogni caso, è morto. Difficilmente lederemo i suoi diritti.”

“Ho ragione a pensare che sia un tuo ordine, Luke?”

“È un ordine diretto,” rispose. “La responsabilità è mia. Se vuoi che ci spingiamo un po’ più in là, ti dico che il tuo lavoro dipende da questo. O fai quello che ti dico, o darò il via a un procedimento disciplinare. Chiaro?”

La voce della donna sembrava petulante, quasi come quella di un bambino. “Okay.”

“Bene. Quando hai accesso al suo conto, cerca qualsiasi cosa fuori dall’ordinario. Del denaro che non dovrebbe esserci. Ingenti depositi o prelievi. Bonifici. Se ha dei risparmi o ha fatto degli investimenti, controlla quelli. Stiamo parlando di un ex pregiudicato con un lavoro come custode. Non dovrebbe avere tanti soldi. Se ne ha, voglio sapere da dove vengono.”

“Va bene, Luke.”

Esitò. “Come va con le targhe?”

“Lavoriamo più in fretta che possiamo,” rispose. “Abbiamo visionato i filmati notturni delle videocamere della Quinta e della 96ma, e della Quinta e della 94ma, e qualche altra nel vicinato. Stiamo tracciando 198 veicoli, 46 dei quali sono alta priorità. Dovrei avere un rapporto iniziale dal quartiere generale in una quindicina di minuti.”

Luke guardò l’orologio. Il tempo stringeva. “Okay. Bel lavoro. Arriveremo lì appena possiamo.”

“Luke?”

“Sì.”

“La storia è su tutti i notiziari. Ci sono tre collegamenti in diretta sul megaschermo qui, adesso. Spingono tutti su questo.”

Annuì. “Me lo immaginavo.”

Lei continuò. “Il sindaco ha programmato un discorso per le 6 del mattino. Sembra che dirà a tutti di restare a casa oggi.”

“A tutti?”

“Vuole che il personale non necessario se ne stia fuori da Manhattan. Tutti i funzionari. Tutti gli addetti alle pulizie e i commessi. Tutti gli studenti e gli insegnanti. Chiederà a cinque milioni di persone di prendersi una giornata di vacanza.”

Luke si portò la mano alla bocca. Respirò. “Dovrebbe fare molto per il morale,” disse. “Se tutti a New York restano a casa, i terroristi potrebbero colpire Philadelphia.”




Capitolo 8


5:45 a.m.

Baltimora, Maryland – A sud del tunnel Fort McHenry



Eldrick era solo, a una decina di metri dal furgone. Aveva appena vomitato un’altra volta. Erano più che altro conati e sangue ormai. Era il sangue a disturbarlo. Era ancora stordito, ancora febbricitante e arrossato, ma più niente nello stomaco, la nausea se n’era quasi andata. Ma soprattutto, era finalmente fuori dal furgone.

Da qualche parte oltre l’orizzonte sporco, il cielo stava appena cominciando a illuminarsi di un pallido e malato giallo. Quaggiù sulla terra, era ancora buio. Erano appostati in un parcheggio desolato lungo una squallida costiera. Un cavalcavia passava venti piani sopra le loro teste. Lì vicino c’era un edificio industriale abbandonato in mattoni con due ciminiere gemelle. Le finestre erano rotte in buchi neri come gli occhi di un morto. L’edificio era circondato da un recinto di filo spinato con cartelli ogni nove metri: ALLA LARGA. C’era un buco visibile nel recinto. L’area attorno all’edificio era infestata da cespugli ed erba alta.

Guardò Ezatullah e Momo. Ezatullah rimosse una delle grandi e magnetiche decalcomanie che dicevano Lavanderia Dun-Rite, andò sul margine dell’acqua e la lanciò dall’altra parte. Poi tornò indietro e rimosse quella dall’altro lato. Eldrick non era mai riuscito a levarle. Nel frattempo, Momo si inginocchiò di fronte al furgone con un cacciavite, rimosse la targa e la rimpiazzò con un’altra. Un momento dopo era sul retro, e faceva lo stesso con la targa posteriore.

Ezatullah fece un gesto verso il furgone. “Voilà!” disse. “Un veicolo nuovo. Prendimi adesso, Zio Sam.” Il viso di Ezatullah luccicava di rosso e di sudore. Sembrava ansimare. Gli occhi erano iniettati di sangue.

Eldrick guardò i dintorni. Lo stato fisico di Ezatullah gli aveva dato un’idea. L’idea gli brillò nella testa come un flash, apparsa e sparita in un attimo. Era il modo migliore di pensare. Le persone potevano leggerti i pensieri negli occhi.

“Dove siamo?” chiese.

“Baltimora,” rispose Ezatullah. “Un’altra delle tue fantastiche città americane. E un luogo bellissimo dove vivere, immagino. Bassa criminalità, le bellezze della natura, e i cittadini sono sani e benestanti, l’invidia della gente di ogni dove.”

Nella notte, Eldrick aveva avuto il delirio. Era svenuto più di una volta. Aveva perso il senso del tempo, e non sapeva dove fosse. Ma non aveva idea che fossero arrivati così lontano.

“Baltimora? Perché siamo qui?”

Ezatullah scrollò le spalle. “Stiamo andando verso la nostra nuova destinazione.”

“L’obiettivo è qui?”

Ora Ezatullah sorrise. Il sorriso sembrava fuori posto in quella faccia avvelenata dalle radiazioni. Sembrava la morte stessa. Allungò una mano tremante e diede a Eldrick un’amichevole pacca sulla spalla.

“Mi spiace di essermi arrabbiato con te, fratello. Hai fatto un buon lavoro. Hai portato a termine tutto ciò che avevi promesso di fare. Con il volere di Allah, spero che raggiungerai il paradiso oggi stesso. Ma non per mano mia.”

Eldrick si limitava a fissarlo.

Ezatullah scosse la testa. “No. Non Baltimora. Stiamo viaggiando verso sud per lasciare un segno che darà gioia alle masse sofferenti di tutto il mondo. Entreremo nel covo del Diavolo stesso e taglieremo la testa della bestia con le nostre mani.”

Eldrick sentì freddo nella parte superiore del corpo. Gli venne la pelle d’oca sulle braccia. Si accorse di avere la camicia fradicia di sudore. Non gli piaceva quello che aveva sentito. Se erano diretti a sud e si trovavano a Baltimora, allora la prossima città era …

“Washington,” disse.

“Sì.”

Ezatullah sorrise ancora. Ora il sorriso era glorioso, quello di un santo davanti alle porte del paradiso, pronto ad accettare il permesso di entrare.

“Taglia la testa e il corpo morirà.”

Eldrick riusciva a vederlo negli occhi di Ezatullah. Aveva perso la testa. Forse era la malattia, o forse qualcos’altro, ma era ovvio che non ragionava con chiarezza. Fino a quel momento, il piano era stato di rubare il materiale e abbandonare il furgone nel South Bronx. Era un lavoro pericoloso, molto difficile da portare a termine, e loro ce l’avevano fatta. Ma chiunque fosse il capo questi aveva cambiato il piano, o aveva mentito fin dall’inizio. Adesso viaggiavano verso Washington in un furgone radioattivo.

Per fare cosa?

Ezatullah era uno jihadista esperto. Doveva sapere che quello che stava suggerendo era impossibile. Qualsiasi cosa pensasse che avrebbero fatto, Eldrick sapeva che non ci sarebbero arrivati neanche lontanamente vicini. ImmaginГІ il furgone, trivellato di buchi di proiettile, a trecento metri dalla Casa Bianca o dal Pentagono o dal recinto del Campidoglio.

Questa non era una missione suicida. Non era una missione per niente. Era una dichiarazione politica.

“Non ti preoccupare,” disse Ezatullah. “Sii felice. Sei stato scelto per l’onore più grande che ci sia. Ce la faremo, anche se tu non puoi immaginarti come. Il metodo ti diverrà chiaro a suo tempo.” Si voltò e aprì la portiera del furgone.

Eldrick guardò Momo. Stava montando la targa posteriore. Momo non parlava da un po’. Probabilmente neanche lui si sentiva tanto bene.

Eldrick fece un passo indietro. Poi un altro. Ezatullah era impegnato con qualcosa dentro al furgone. Gli dava le spalle. La parte migliore di quel momento era che un altro sarebbe potuto non capitare più. Eldrick se ne stava lì in piedi nello spazio aperto, e nessuno lo guardava.

Eldrick era stato un corridore a scuola. Era bravo. Ricordava le folle nella 168ma Strada Armory a Manhattan, le posizioni sul tabellone, la campanella che scattava. Ricordava quel senso di nodo allo stomaco appena prima di una gara, e la velocità folle sulla nuova pista, le magre gazzelle nere da competizione che si spintonavano, i gomiti in alto, che correvano così veloci che sembrava di stare in un sogno.

Per tutti gli anni trascorsi da allora, Eldrick non aveva mai corso come aveva fatto all’epoca. Ma forse, con una scarica di energia concentrata, avrebbe potuto raggiungere quella velocità adesso. Non aveva senso esitare, né starci a pensare troppo.

Si voltò e partì.

Un secondo dopo, la voce di Momo dietro di lui:

“EZA!”

Poi qualcosa in farsi.

L’edificio abbandonato era davanti. La malattia tornò a farsi sentire. Vomitò, il sangue che gli schizzava la camicia, ma continuò a correre. Era già senza fiato.

Sentì uno schiocco come di una spillatrice. Fece una debole eco contro i muri dell’edificio. Ezatullah sparava, ovvio che sparava. La sua pistola aveva un silenziatore.

Una puntura acuta attraversò la schiena di Eldrick. Cadde sul marciapiedi, sbucciandosi le braccia contro l’asfalto rotto. Un secondo dopo, un’altra eco di sparo. Eldrick si alzò e continuò a correre. Il recinto era proprio lì. Si voltò e si gettò verso il buco.

Un’altra puntura lo attraversò. Cadde in avanti e si aggrappò al recinto. Tutta la forza sembrò scivolargli fuori dalle gambe. Era appeso lì, a tenersi su con la presa morta delle dita attraverso le maglie della rete.

“Muoviti,” gracchiò. “Muoviti.”

Cadde sulle ginocchia, forzò il recinto lacero da parte e strisciò dentro al buco. Era nell’erba fitta. Si mise in piedi, incespicò per qualche passo, inciampò in qualcosa che non riusciva a vedere e rotolò giù da un terrapieno. Non ci provò neanche a smettere di rotolare. Lasciò che lo slancio lo portasse sul fondo.

Arrivò a fermarsi, respirando pesantemente. Il dolore alla schiena era irreale. Aveva il viso nella terra. Era umido lì, infangato, e si trovava proprio lungo l’argine. Poteva ruzzolare nelle acque buie se voleva. Invece strisciò più a fondo nel sottobosco. Il sole non era ancora sorto. Se fosse rimasto lì, senza muoversi e senza fare rumori, era quasi possibile che…

Si toccГІ il petto con la mano. RitirГІ le dita zuppe di sangue.



*



Ezatullah era in piedi davanti al buco nella recinzione. Il mondo attorno a lui girava. Gli erano venute le vertigini anche solo a rincorrere Eldrick.

Con la mano si aggrappava alla maglia di ferro della recinzione, che lo teneva in piedi. Pensava che avrebbe potuto vomitare. Era buio in quei cespugli. Avrebbero potuto perdere un’ora a cercarlo lì. Se ce l’avesse fatta a raggiungere il grande edificio abbandonato, allora magari non l’avrebbero mai più trovato.

Moahmmar era lì accanto. Era chino, le mani sulle ginocchia, respirava profondamente. Tremava in tutto il corpo. “Dovremmo andare?” chiese.

Ezatullah scosse la testa. “Non ne abbiamo il tempo. Gli ho sparato due volte. Se non lo finisce la malattia, lo faranno i proiettili. Lasciamolo morire solo. Forse Allah avrà pietà della sua codardia. Lo spero. In ogni caso, dobbiamo andare avanti senza di lui.”

Si voltò e riprese il cammino verso il furgone. Sembrava che fosse parcheggiato lontanissimo. Era stanco, ed era malato, ma continuò a mettere un piede davanti all’altro. Ogni passo lo portava più vicino ai cancelli del Paradiso.




Capitolo 9


6:05 a.m.

Centro di comando congiunto dell’antiterrorismo - Centro Manhattan



“Luke, la cosa migliore da fare è riunire i tuoi e tornare a Washington,” disse l’uomo in giacca e cravatta.

Luke era all’interno del vorticoso caos della sala principale del centro di comando. Era già giorno, e una fioca luce filtrava dalle finestre due piani al di sopra degli uffici. Il tempo passava troppo velocemente, e il centro di comando era un cazzo di casino.

Duecento persone riempivano la stanza. C’erano almeno quaranta postazioni di lavoro, alcune delle quali con due o tre persone sedute davanti a cinque schermi di computer. Sul megaschermo di fronte c’erano venti diverse schermate televisive e di computer. Questi mostravano mappe digitali di Manhattan, del Bronx, sequenze live di entrate nei tunnel Holland e Lincoln, foto segnaletiche di terroristi arabi che risiedevano nel paese.

Tre adesso mostravano il sindaco DeAngelo, che con il suo metro e novantadue sovrastava gli assistenti al suo fianco, e che al microfono diceva ai coraggiosi newyorkesi di restare a casa e abbracciare i loro figli. Stava leggendo un discorso preparato.

“Nel peggiore dei casi,” disse il sindaco, la voce che usciva dagli altoparlanti disposti nella stanza, “l’esplosione iniziale ucciderà molte persone e creerà un panico di massa nell’area immediatamente limitrofa. L’esposizione alle radiazioni diffonderà la paura in tutta la regione e probabilmente in tutto il paese. Molte persone esposte all’attacco iniziale si ammaleranno, e alcune moriranno. I costi per ripulire l’aerea saranno enormi, ma sembreranno piccoli in confronto a quelli psicologici ed economici. Un attacco con una bomba sporca in un’importante stazione di New York paralizzerà i trasporti lungo la costa per il prossimo futuro.”

“Carino,” disse Luke. “Mi chiedo chi scriva questa roba.”

Analizzò la stanza. Qui erano rappresentati tutti, tutti a sgomitare per una posizione migliore. Era pastina alfabeto. NYPD, FBI, NSA, ATF, DEP, persino CIA. Diavolo, c’era la DEA qui. Luke non era sicuro di come il furto di scorie radioattive costituisse un crimine di droga.

Ed Newsam era andato a pescare lo staff dell’SRT tra la folla.

“Luke, mi hai sentito?”

Luke tornò alla questione in esame. Era con Ron Begley della Sicurezza Interna. Ron era un uomo che si stava stempiando, sul finire dei cinquant’anni. Aveva una grossa pancia tonda e piccole dita tracagnotte. Luke conosceva la sua storia. Era stato uno da scartoffie, un uomo che era venuto fuori dalla burocrazia del governo. L’11 settembre, era alla Tesoreria a coordinare un team che analizzava l’evasione fiscale e gli schemi Ponzi. Era passato all’antiterrorismo con la creazione della Sicurezza Interna. Non aveva mai fatto un arresto, o fatto fuoco in un momento di rabbia, nella sua vita.

“Hai detto che vuoi che me ne vada a casa.”

“Ci stai tra i piedi qui, Luke. Kurt Myerson ha chiamato il suo capo al NYPD e gli ha detto che all’ospedale trattavi la gente come schiavi personali. E che hai sequestrato un team della SWAT. Davvero? La SWAT? Senti, questo è il loro terreno. Devi seguire la loro guida. È così che si gioca.”

“Ron, è stato il NYPD a chiamarci. Immagino perché hanno ritenuto di aver bisogno di noi. La gente lo sa come lavoriamo.”

“Come i cowboy,” disse Begley. “Lavori come partecipassi a un rodeo di cowboy.”

“Don Morris mi ha buttato giù dal letto per farmi venire qui. Puoi parlarne con Don…”

Begley alzò le spalle. Una parvenza di sorriso gli apparve in faccia. “Don è stato richiamato. È salito su un elicottero venti minuti fa. Ti suggerisco di fare lo stesso.”

“Cosa?”

“È così. È stato promosso, se capisci cosa voglio dire. Promosso in senso lato. L’hanno chiamato a tenere un briefing sulla situazione al Pentagono. Roba davvero importante. Credo che non potessero mandarci un interno, così ci hanno portato Don.”

Begley abbassò la voce, nonostante Luke riuscisse comunque a sentirlo bene. “Un avvertimento. Cos’ha Don, altri tre anni prima della pensione? Don è una specie in via di estinzione. È un dinosauro, e così è l’SRT. Lo so io e lo sai tu. Tutte queste piccole agenzie segrete all’interno di un’unica agenzia stanno per essere scaricate. Stiamo accorpando e centralizzando, Luke. Adesso ci servono analisti di dati. È così che risolveremo i crimini del futuro. È così che prenderemo questi terroristi oggi. Non abbiamo bisogno di machi, di superspie e anziani ex commando che si calino giù dalle corde lungo le facciate degli edifici ormai. Proprio non ci servono. Basta giocare agli eroi. In realtà è un po’ ridicolo, se ci pensi bene.”

“Ottimo,” disse Luke. “Lo prenderò in considerazione.”

“Pensavo che insegnassi al college,” disse Begley. “Storia, scienze politiche, quella roba lì.”

Luke fece un cenno col capo. “Sì.”

Begley posò una mano carnosa sul braccio di Luke. “Dovresti continuare a farlo.”

Luke scosse via la mano e si tuffГІ nella folla, cercando i suoi.



*



“Che cosa abbiamo?” chiese Luke.

Il suo team aveva organizzato un campo in un ufficio fuori mano. Avevano preso un po’ di scrivanie vuote e imbastito la loro piccola stazione di comando con laptop e uplink satellitari. Ed Newsam e Trudy erano lì, insieme a pochi altri. Swann si era rintanato in un angolo da solo con tre laptop.

“Hanno richiamato Don,” disse Trudy.

“Lo so. Gli hai parlato?”

Annuì. “Venti minuti fa. Stava per partire. Ha detto di continuare a lavorare al caso finché lui non ce ne tira fuori personalmente. E di ignorare gentilmente chiunque altro.”

“Mi sta bene. Quindi a che punto siamo?”

Trudy parlò seria. “Ci muoviamo veloci. Abbiamo ristretto la ricerca a sei veicoli ad alta priorità. Tutti sono passati entro un isolato o due dall’ospedale la scorsa notte, e presentano caratteristiche strane o che non corrispondono.”

“Dammi un esempio.”

“Okay. Uno è un camion fornitore alimentare intestato a un ex paracadutista russo. Siamo stati in grado di seguirlo con le videocamere di sorveglianza, e a quanto sembra, è andato su e giù per Manhattan tutta la notte, a vendere hot dog e Pepsi a prostitute, magnaccia e clienti.”

“Ora dov’è?”

“È parcheggiato sull’11ma Avenue, a sud Centro Congressi Jacob Javits. Non si muove da un po’. Pensiamo che stia dormendo.”

“Okay, mi pare che sia appena diventato di bassa priorità. Passalo al NYPD, non si sa mai. Possono svegliarlo e rivoltargli il camion, scoprire se lì dentro ci vende anche qualcos’altro. Prossimo.”

Trudy scorse la sua lista. Un minivan convertito in auto Uber da un ex fisico nucleare caduto in disgrazia. Un articolato di quaranta tonnellate con richiesta d’indennizzo assicurativo che venne demolito in un incidente e rottamato. Un furgone delle consegne per un servizio commerciale di lavanderia, con le targhe registrate a una non collegabile attività di pavimentazione di Long Island. Un’ambulanza registrata come rubata tre giorni fa.

“Un’ambulanza rubata?” chiese Luke. “Sembra interessante.”

Trudy scrollò le spalle. “Di solito si tratta di commercio illegale di organi. Li recuperano dai pazienti deceduti a pochi minuti dalla morte. Devono recuperare gli organi, impacchettarli e portarli fuori dall’ospedale in fretta. Nessuno dà una seconda occhiata a un’ambulanza che aspetta nel parcheggio di un ospedale.”

“Ma stanotte forse non aspettavano organi. Sappiamo dove sono?”

Scosse la testa. “No. L’unico luogo che abbiamo è quello del russo. È ancora più un arte che una scienza. Le telecamere di sorveglianza non sono ancora dappertutto, specialmente appena si esce da Manhattan. Vedi un furgone sorpassare una videocamera, poi potresti non vederlo più. O potresti ribeccarlo con un’altra telecamera dieci isolati più in là, o a cinque miglia. L’articolato ha attraversato il ponte George Washington verso il New Jersey prima che lo perdessimo. Il furgoncino della lavanderia è passato per la 138ma Strada verso il South Bronx ed è sparito. Proprio adesso, li stiamo rintracciando tutti con altri mezzi. Abbiamo contattato la compagnia dell’autotrasporto, l’Uber, la compagnia di pavimentazione e il servizio di lavanderia. Dovremmo venire a sapere qualcosa presto. E ho otto persone al quartier generale che setacciano ore di video, in cerca dell’ambulanza.”

“Bene. Tienimi aggiornato. Che succede con la banca?”

Il viso di Trudy era di pietra. “Dovresti chiederlo a Swann.”

“Okay.” Fece un passo verso il piccolo feudo d’angolo di Swann.

“Luke?”

Si fermò. “Sì.”

Gli occhi di Trudy guizzavano per la stanza. “Possiamo parlare? In privato?”



*



“Mi licenzierai perché non infrango la legge per te?”

“Trudy, non ho nessuna intenzione di licenziarti. Perché lo pensi?”

“È quello che hai detto, Luke.”

Si trovavano in uno stanzino. C’erano due scrivanie vuote qui e una piccola finestra. La moquette era nuova. I muri erano bianchi e non vi era appeso niente. C’erano una piccola videocamera montata in un angolo, vicino al soffitto.

Sembrava che la stanza non fosse mai stata usata. Lo stesso centro di comando era aperto da meno di un anno.

I grandi occhi di Trudy lo fissavano con attenzione.

Luke sospirò. “Ti stavo dando una via d’uscita. Pensavo che lo avresti capito. Se ci sono dei guai, puoi dare la colpa a me. Tutto quello che hai fatto è stato eseguire i miei ordini. Temevi di perdere il lavoro se non avessi eseguito i miei ordini.”

Lei gli si avvicinò di un passo. Nell’isolamento della stanza, Luke poteva sentire il suo shampoo e il delicato profumo che portava spesso. La combinazione di odori gli fece qualcosa alle ginocchia. Le sentì tremare un po’.

“Non puoi neanche darmi un ordine diretto, Luke. Non lavori più per l’SRT.”

“Sono in congedo.”

Lei fece un altro passetto nella sua direzione. I suoi occhi erano concentrati su di lui come laser gemelli. C’era intelligenza in quegli occhi, e calore.

“E te ne sei andato… perché? Per causa mia?”

Scosse la testa. “No. Avevo le mie ragioni. Tu non eri fra queste.”

“I fratelli Marshall?”

Scrollò le spalle. “Quando uccidi due uomini in una sola notte, è un buon momento per prendersi una pausa. Forse anche di valutare quello che stai facendo.”

“Stai dicendo che non hai mai provato niente per me?” chiese.

Lui la guardò, sbalordito dalla domanda. Aveva sempre avuto l’impressione che Trudy flirtasse con lui, e lui non aveva mai abboccato all’amo. C’era stata qualche volta, ubriaco a qualche festa, dopo brutte litigate con la moglie, che ci era andato vicino. Ma il pensiero di sua moglie e suo figlio l’avevano sempre tenuto lontano dal precipitare in qualcosa di stupido.

“Trudy, noi lavoriamo insieme,” disse risolutamente. “E io sono sposato.”

Lei si avvicinГІ ancora di piГ№.

“Non mi interessa il matrimonio, Luke,” disse piano, inclinandosi verso di lui, ormai vicinissima.

Era contro di lui adesso. Luke le mise le mani sui fianchi. Sentiva il calore provenire da lei, e quella vecchia incontrollabile voglia quando le stava vicino, l’eccitazione, l’energia… il desiderio. Lei riuscì a posargli le mani sul petto, e non appena i palmi gli toccarono la camicia, lui seppe che avrebbe dovuto agire subito o abbandonarsi a lei completamente.

Con un atto finale di supremo autocontrollo, Luke fece un passo indietro e le allontanГІ delicatamente le mani.

“Mi dispiace, Trudy,” disse, con la voce roca. “Ti voglio bene. Davvero. Ma non è una buona idea.”

Lei si accigliò, ma prima di poter dire qualcosa, un pesante pugno colpì la porta di legno.

“Luke? Sei lì?” Era la voce di Newsam. “Dovresti uscire e vedere questo. Swann ha trovato qualcosa.”

Si guardarono, Luke sentendosi colpevole come il diavolo al pensiero di sua moglie, anche se non aveva fatto niente. Se ne andò di lì prima che potesse accadere qualcos’altro senza poter fare a meno di chiedersi quanto ciò che era appena successo avrebbe avuto conseguenze sulla loro vita lavorativa insieme.

E poi, peggio di tutto, non poteva fare a meno di ammettere che, sotto sotto, non aveva nessuna voglia di lasciare la stanza.



*



Swann sedeva a una lunga tavola con i suoi tre monitor video allineati davanti a sГ©. Con la sua calvizie incipiente e gli occhiali, ricordava a Luke un fisico della NASA al controllo missione. Luke era in piedi dietro di lui con Newsam e Trudy, al di sopra delle strette spalle di Swann.

“Questo è il conto corrente di Ken Bryant,” disse Swann, muovendo il cursore nel centro dello schermo. Luke assorbì i dettagli: depositi, prelievi, saldo totale, un range di date che andava dal 28 aprile al 27 maggio.

“Quanto è sicura la connessione?” chiese Luke. Diede un’occhiata alla stanza e fuori dalla porta. La stanza principale del centro di comando era proprio in fondo al corridoio.

“Questa?” disse Swann. Alzò le spalle. “È indipendente dal centro di comando. Sono connesso alla nostra torre e ai nostri satelliti. È criptata dai nostri. Credo che la CIA o l’NSA potrebbero cercare di violarla, ma perché preoccuparsi? Facciamo parte della stessa squadra, no? Non me ne preoccuperei. Invece, mi concentrerei su questo conto bancario. Noti niente di strano?”

“Il saldo è più di $24,000,” disse Luke.

“Esatto,” disse Swann. “Un custode con un bel po’ di soldi nel suo conto corrente. Interessante. Ora andiamo indietro di un mese. Dal 28 marzo al 27 aprile. Il saldo arriva fino a $37,000, e adesso comincia a spendere. Ci sono trasferimenti qui da un conto anonimo, $5,000, poi $4,000, poi, be’, chi se ne frega delle tasse… dammene $20,000.”

“Okay,” disse Luke.

“Indietro di un altro mese. Dalla fine di febbraio alla fine di marzo. Il saldo iniziale è di $1,129. Entro la fine del mese, è di oltre $9,000. Indietro di un altro mese, dalla fine di gennaio alla fine di febbraio, e il saldo non è mai arrivato a $2,000 in tutto il tempo. Da qui, se andiamo indietro di tre anni, vediamo che il saldo raramente ha superato i $1,500. Ecco un tizio che vive giorno per giorno, che d’un tratto comincia a ottenere grossi trasferimenti di denaro in marzo.”

“Da dove viene il denaro?”

Swann sorrise e alzò un dito. “Adesso viene il bello. Viene da una piccola banca offshore specializzata in conti numerari anonimi. Si chiama Royal Heritage Bank, e ha sede sulla Grand Cayman.”

“Riesci ad hackerarlo?” chiese Luke. Vide di sfuggita l’aria di disapprovazione di Trudy.

“Non ce n’è bisogno,” disse Swann. “La Royal Heritage appartiene a una risorsa della CIA di nome Grigor Svetlana. È un ucraino che faceva parte dell’Armata Rossa. Ha avuto qualche guaio con i russi vent’anni fa, dopo la sparizione di alcuni armamenti sovietici che poi sono riapparsi nei mercati neri dell’Africa Occidentale. Non parlo di pistole. Parlo di contraeree, artiglieria controcarri, più un po’ di missili cruise a bassa altitudine. I russi erano pronti ad appenderlo per il collo. Non avendo dove andare, si è rivolto a noi. Ho un amico a Langley, e i conti della Royal Heritage Bank, per nulla anonimi, sono in realtà un libro aperto per la comunità dell’intelligence americana. Certo, la maggior parte dei clienti della Royal non ne è al corrente.”

“Quindi sai a chi appartiene il conto che procede con i trasferimenti.”

“Sì.”

“Okay, Swann,” disse Luke. “Capisco. Sei molto sveglio. Ora arriviamo al punto.”

Swann fece un gesto verso gli schermi del computer. “Lo stesso Bryant era il titolare del conto che faceva i trasferimenti. È il conto su quel monitor a sinistra. Potete vedere che ha circa $209,000 adesso. Stava trasferendo un po’ qui e un po’ là dal conto numerario al suo conto corrente locale, probabilmente per uso personale. E se andiamo indietro di qualche mese, vediamo che il conto offshore di Bryant era stato creato il 3 marzo con un trasferimento di $250,000 da un altro conto della Royal Heritage, quello sul monitor di destra.”

Luke guardò il conto di destra. C’erano più di quarantaquattro milioni di dollari.

“Qualcuno ha assunto Bryant,” disse.

“Precisamente,” disse Swann.

“Chi è?”

“È quest’uomo.” Sullo schermo apparve una fototessera. Mostrava un uomo di mezz’età con capelli scuri che si stavano incanutendo. “Questo è Ali Nassar. Cinquantasette anni. Cittadino iraniano. Nato a Teheran in una famiglia benestante e influente. Ha studiato alla London School of Economics, poi alla Harvard Law School. È tornato a casa e ha preso un’altra laurea in legge, questa dall’università di Teheran. Quindi può lavorare sia negli Stati Uniti che in Iran. È stato coinvolto in negoziazioni commerciali internazionali per la maggior parte della carriera. Vive qui a New York e attualmente è un diplomatico iraniano delle Nazioni Unite. Ha completa immunità diplomatica.”

Luke si grattò il mento. Poteva sentire la corta barba crescere. Cominciava a essere stanco. “Fammi capire bene. Nassar ha pagato Ken Bryant, presumibilmente per avere accesso all’ospedale, e per ottenere informazioni sulle misure di sicurezza e su come evitarle.”

“Presumibilmente, sì.”

“Quindi probabilmente sta guidando una cellula terroristica qui a New York, è complice nel furto di materiale pericoloso e di almeno quattro omicidi, e non può essere perseguito dalla legge americana?”

“Pare proprio così.”

“Okay. Sei già nel conto, vero? Vediamo a chi altro manda soldi.”

“Mi ci vorrà un po’.”

“Va bene. Nel frattempo mi occupo di una faccenda.”

Luke guardГІ Ed Newsam. La faccia di Newsam era dura, gli occhi opachi e vuoti.

“Dimmi, Ed, ti va di fare un giro con me? Forse dovremmo fare una visita al signor Ali Nassar.”

Newsam sorrise, ma aveva un’aria più che altro accigliata.

“Mi pare divertente.”




Capitolo 10


6:20 a.m.

Centro Wellness del Congresso - Washington D.C.



Non era facile da trovare.

Jeremy Spencer si trovava di fronte a una serie di porte serrate in acciaio grigio in uno scantinato del Rayburn House Office Building. Le porte erano nascoste in un angolo del parcheggio della metropolitana. Pochissime persone erano a conoscenza dell’esistenza di questo posto. Ancor meno persone sapevano dove fosse. Si sentiva uno scemo, ma bussò alla porta comunque.

Qualcuno premette un pulsante e lo fece entrare. Spinse la porta, provando quella familiare sensazione di incertezza nello stomaco. Sapeva che la palestra del congresso era off-limits per chiunque eccetto i membri del Congresso degli Stati Uniti d’America. Eppure, nonostante la violazione del protocollo di lunga data, era stato invitato a entrarci.

Oggi era il piГ№ importante giorno della sua giovane vita. Viveva a Washington da tre anni, e stava facendo carriera.

Sette anni prima, era un morto di fame dell’Upstate New York che viveva in una roulotte. Poi era stato uno studente con piena borsa di studio alla State University di New York a Binghamton. Invece di rilassarsi e godersi la corsa, era diventato presidente del campus dei repubblicani e cronista per il giornale della scuola. Ben presto si era messo a scrivere su Breitbart e Drudge. Ora, a ciò che gli pareva dopo un respiro profondo, era un reporter di Newsmax che scriveva direttamente dal Campidoglio.

Non era una palestra di lusso. C’erano alcuni attrezzi cardiovascolari, un po’ di specchi e un po’ di pesi su uno scaffale. Un signore anziano in t-shirt e pantaloni sudati, con addosso gli auricolari, camminava su un tapis roulant. Jeremy entrò nel silenzioso spogliatoio. Svoltò l’angolo, e davanti a lui c’era l’uomo con cui era venuto a parlare.

L’uomo era alto, sui cinquantacinque, con capelli d’argento. Era davanti a un armadietto aperto, così Jeremy lo vide di profilo. La schiena era dritta, e la grande mascella si protendeva in avanti. Indossava una t-shirt e i pantaloncini, entrambi fradici dall’allenamento. Le spalle, le braccia, il petto e le gambe, ogni muscolo era definito. Aveva l’aria di un capo.

L’uomo era William Ryan, rappresentante della Carolina del Nord con un mandato di nove anni, e speaker della Camera. Jeremy sapeva tutto di lui. La sua era una famiglia ricca da generazioni. Possedevano piantagioni di tabacco da prima della Rivoluzione. Il suo trisavolo era stato un senatore degli Stati Uniti durante la Ricostruzione. Si era laureato come primo della sua classe al college militare The Citadel. Era affascinante, elegante, ed esercitava il potere con un’aria di confidenza e di diritto così totali che erano pochi nel suo partito a prendere in considerazione l’idea di opporglisi.

“Signor speaker?”

Ryan si voltò, vide Jeremy lì, e fece comparire un sorriso luminoso. La t-shirt era blu scuro, con lettere rosse e bianche. AMERICANO ORGOGLIOSO era tutto quello che dicevano. Allungò la mano per una stretta. “Scusa,” disse. “Sono ancora un po’ sudato.”

“Nessun problema, signore.”

“Okay,” disse Ryan. “Basta con il signore. In privato puoi chiamarmi Bill. Se ti sembra troppo difficile, chiamami col mio titolo. Ma voglio che tu sappia una cosa. Ti ho richiesto io, e ti darò un’esclusiva. Più tardi oggi pomeriggio, potrei tenere una conferenza stampa con tutti i media. Ancora non lo so. Ma fino ad allora, per tutto il giorno, le mie opinioni su questa crisi andranno a finire sotto la tua firma. Che ne dici?”

“Dico che mi va benissimo,” disse Jeremy. “È un onore. Ma perché proprio me?”

Ryan abbassò la voce. “Sei un bravo ragazzo. Ti seguo da un po’. E voglio darti un consiglio. In via assolutamente ufficiosa. Dopo oggi, non sarai più un cane da guerra. Sei un giornalista stagionato. Voglio che stampi quello che sto per dire parola per parola, ma a partire da domani, voglio che diventi leggermente più… nuancé, diciamo. Newsmax è fantastico per quello che è, ma tra un anno ti vedrò al Washington Post. È dove abbiamo bisogno di te, e andrà così. Ma prima, la gente deve credere che sei maturato e cresciuto fino a diventare un chiamiamolo giusto ed equilibrato reporter mainstream. Ciò che hai o non hai non è importante. È tutta una questione di percezioni. Capisci quello che dico?”

“Credo di sì,” rispose Jeremy. Il sangue gli rombava nelle orecchie. Quelle parole erano eccitanti e terrificanti allo stesso tempo.

“Tutti abbiamo bisogno di amici ai piani alti,” disse lo speaker. “Incluso io. E ora spara.”

Jeremy tirò fuori il telefono. “Il registratore è accesso… adesso. Signore, è a conoscenza del massiccio furto di materiale radioattivo che è avvenuto durante la notte a New York City?”

“Più che a conoscenza,” disse Ryan. “Come ogni americano, sono profondamente preoccupato. I miei assistenti mi hanno svegliato alle quattro del mattino con la notizia. Siamo in stretto contatto con l’intelligence, e monitoriamo la situazione da vicino. Come sai bene, mi sono adoperato per far approvare una dichiarazione di guerra da parte del Congresso contro l’Iran, dichiarazione che il presidente e il suo partito hanno bloccato a ogni votazione. Ci troviamo in una situazione in cui l’Iran sta occupando il nostro alleato, la sovrana nazione dell’Iraq, e il nostro personale deve attraversare i posti di blocco iraniani per entrare e uscire dalla nostra ambasciata sul posto. Non credo che si sia verificata una serie di eventi così umilianti dalla crisi degli ostaggi in Iran del 1979.”

“Crede che il furto sia stato compiuto dall’Iran, signore?”

“Per prima cosa, chiamiamolo per quello che è. Che una bomba esploda o meno in una metropolitana, si tratta di un attentato terroristico sul suolo americano. Almeno due addetti alla sicurezza sono stati uccisi, e la grande città di New York è in stato di allarme. Secondo, non abbiamo ancora sufficienti informazioni per individuare i terroristi. Ma sappiamo che la debolezza sul piano mondiale incoraggia questo tipo di attacchi. Dobbiamo mostrare la nostra vera forza, e dobbiamo agire uniti come paese, destra e sinistra, per difenderci. Invito il presidente a unirsi a noi.”

“Che cosa pensa che dovrebbe fare il presidente?”

“Il minimo sarebbe dichiarare lo stato di emergenza nazionale. Dovrebbe investire le forze della legge di poteri speciali temporanei, finché non riusciamo a prendere i terroristi. Questi poteri dovrebbero includere sorveglianza non autorizzata, così come perquisizioni casuali e sequestri presso tutte le stazioni ferroviarie, degli autobus, presso i terminal, gli aeroporti, le scuole, le piazze pubbliche, i centri commerciali e gli altri centri di attività. Deve poi agire immediatamente per salvaguardare tutte le altre scorte di materiale radioattivo, ovunque negli Stati Uniti.”

Jeremy fissava gli occhi feroci di Ryan. Il fuoco che vi vedeva era quasi sufficiente a farlo scappare via.

“Ed ecco la cosa più importante. Se si scopre che gli attentatori sono iraniani o pagati dall’Iran, allora deve o dichiarare la guerra o fare un passo indietro e permettere a noi di farlo. Se si tratta davvero di un attacco da parte dell’Iran, e di fronte a questa informazione il presidente insiste nel bloccare i nostri sforzi per proteggere il paese e i nostri alleati nel Medio Oriente… quale scelta mi lascia? Avvierò io stesso le procedura d’impeachment.”




Capitolo 11


6:43 a.m.

Settantacinquesima Strada vicino a Park Avenue - Manhattan



Luke sedeva nel retro di un SUV dell’agenzia con Ed Newsam. Erano dall’altra parte di una tranquilla strada costeggiata da alberi, di fronte a un elegante, alto e moderno edificio con doppie porte in vetro e un usciere in guanti bianchi all’ingresso. Mentre osservavano, l’usciere teneva la porta aperta per una donna bionda e magra in abito bianco che usciva con un cane. Luke odiava questi edifici.

“Be’, c’è almeno una persona in questa città che non sembra preoccuparsi di un attentato terroristico,” disse Luke.

Ed si stravaccò sul sedile. Sembrava mezzo addormentato. Con i pantaloni cargo beige e la t-shirt bianca dipinta sulle sue qualità cesellate, la testa come una palla da biliardo e la barba quasi corta, Ed non dava l’impressione di un agente federale. Certamente non somigliava a nessuno che questo edificio avrebbe lasciato entrare.

Pensando ad Ali Nassar, Luke era infastidito dalla sua immunitГ  diplomatica. Sperava che Nassar non cercasse di avvantaggiarsene. Luke non aveva pazienza per le negoziazioni.

Il telefono di Luke suonГІ. Lo guardГІ. Premette il bottone.

“Trudy,” disse. “Come posso aiutarti?”

“Luke, abbiamo nuove informazioni,” disse. “Sul corpo che tu e Don avete trovato all’ospedale.”

“Dimmi tutto.”

“Ibrahim Abdulraman, trentun anni. Cittadino libanese, nato a Tripoli da una famiglia molto povera. Scarsa educazione, se ne ha avuta una. Si è arruolato nell’esercito a diciotto anni. In breve tempo è stato trasferito nel carcere di Abū Salīm, dove ha lavorato per molti anni. In prigione è stato implicato in violazioni dei diritti umani, inclusi tortura e omicidio di oppositori politici. Nel marzo del 2011, mentre il regime cominciava a collassare, fuggì dal paese. Deve aver sentito puzza di bruciato. Un anno dopo era a Londra, a lavorare come guardia del corpo per un giovane principe saudita.”

Le spalle di Luke si accasciarono. “Mmm. Un torturatore libanese che lavora per un principe saudita? Che finisce morto mentre ruba materiale radioattivo a New York? Chi era veramente questo tizio?”

“Non ha storia di legami con estremisti, e sembra non avesse neanche fedi politiche. Non è mai stato un soldato scelto per alcun esercito, e sembra non si sia sottoposto ad alcun addestramento avanzato. A me pare che fosse un opportunista, un gorilla mercenario. È scomparso da Londra dieci mesi fa.”

“Okay, ridimmi il nome.”

“Ibrahim Abdulraman. E, Luke? C’è qualcos’altro che devi sapere.”

“Dimmi.”

“Non ho trovato io questa informazione. È sul megaschermo della sala principale. Questo Myerson del NYPD non mi ha dato i dati identificativi quando li aveva, e la ricerca l’hanno portata avanti loro. Hanno rilasciato l’informazione a tutti senza neanche dirlo a noi. Ci stanno sbattendo fuori.”

Luke guardò Ed e girò gli occhi all’insù. L’ultima cosa che voleva era essere coinvolto in una gara a chi piscia più lontano tra agenzie. “Okay, va bene…”

“Senti, Luke. Sono un po’ preoccupata per te. Rimarrai senza amici qui, e dubito che un incidente internazionale ti aiuterà. Perché non passiamo i dettagli del trasferimento bancario ai piani alti e lasciamo che sia la Sicurezza Interna a occuparsene? Possiamo scusarci per la violazione, dire che siamo stati troppo zelanti. Se incontri quel diplomatico adesso, ti esponi troppo.”

“Trudy, sono già arrivato.”

“Luke…”

“Trudy, adesso riattacco.”

“Cerco di aiutarti,” disse la donna.

Dopo aver riattaccato, guardГІ Ed.

“Sei pronto?”

Ed si mosse appena. Fece un cenno in direzione dell’edificio.

“Sono nato per fare queste cose.”



*



“Posso aiutarvi, signori?” disse l’uomo mentre entravano.

Un lampadario scintillante pendeva dal soffitto di fronte alla lobby. A destra, c’erano un sofà e un paio di sedie di marca. C’era un bancone lungo il muro sinistro, con un altro usciere dietro di esso. Aveva un telefono, un computer e un ammasso di schermi. Aveva anche una piccola televisione sintonizzata sui notiziari.

L’uomo pareva sui quarantacinque anni. Gli occhi erano rossi e venati, non necessariamente iniettati di sangue. I capelli erano tenuti all’indietro dal gel. Sembrava che fosse appena uscito dalla doccia. Luke pensò che lavorasse lì da tanto di quel tempo che avrebbe potuto bere tutta la notte e lavorare dormendo. Probabilmente era in grado di riconoscere ogni singola persona che fosse mai entrata o uscita da questo posto. E sapeva che Ed e Luke qui non c’entravano nulla.

“Ali Nassar,” disse Luke.

L’uomo prese il telefono. “Signor Nassar. L’attico. Chi devo annunciare?”

Senza dire una parola, Ed scivolГІ oltre il banco e schiacciГІ la cornetta del telefono, troncando la connessione. Ed era grande e grosso come un leone, ma quando si muoveva era fluido ed elegante come una gazzella.

“Non devi annunciare nessuno,” disse Luke. Mostrò all’usciere il distintivo. Ed fece lo stesso. “Agenti federali. Dobbiamo fare qualche domanda al signor Nassar.”

“Temo che al momento non sarà possibile. Il signor Nassar non accetta visitatori prima della 8 del mattino.”

“Allora perché hai alzato la cornetta?” chiese Newsam.

Luke guardò Ed. Era una domanda furba. Ed non sembrava il tipo da gruppo di dibattito, ma questa volta forse c’aveva preso.

“Hai guardato i notiziari?” chiese Luke. “Sono sicuro che hai sentito delle scorie radioattive scomparse. Abbiamo ragioni di credere che il signor Nassar possa saperne qualcosa.”

L’uomo guardava dritto di fronte a sé. Luke sorrise. Aveva appena avvelenato la fonte di Nassar. L’usciere era il centro della comunicazione. Entro domani, ogni singola persona dell’edificio avrebbe saputo che il governo era venuto a interrogare Nassar sulle sue attività terroristiche.

“Sono desolato, signore,” cominciò l’uomo.

“Non devi essere desolato,” disse Luke. “Tutto quello che devi fare è garantirci l’accesso al piano attico. Se non lo fai ti arresterò subito per intralcio alla giustizia, e ti porterò via da qui in manette. Sono sicuro che non vuoi che accada, e io neanche. Quindi dacci la chiave o il codice o quello che è, e poi torna al tuo lavoro. Ah, sappi che se manometti l’ascensore mentre siamo dentro, non solo ti arresterò per intralcio, ma anche per complicità in quattro omicidi e in furto di materiale pericoloso. Il giudice stabilirà una cauzione di dieci milioni di dollari, e tu marcirai a Rikers Island in attesa di processo per i prossimi dodici mesi. Ti suona attraente la prospettiva…” Luke lesse il nome sulla targhetta.

“John?”



*



“Volevi davvero arrestare quell’uomo?” chiese Ed.

Era un ascensore di vetro che si muoveva attraverso un tubo rotondo, anch’esso di vetro, nell’angolo sudoccidentale dell’edificio. A mano a mano che salivano, il panorama della città toglieva il fiato, fino a frastornare. Presto poterono godere della vista di un’ampia distesa con l’Empire State Building proprio davanti a loro e l’edificio delle Nazioni Unite alla loro sinistra. A distanza, una riga di aeroplani luccicava nel sole del primo mattino mentre si avvicinavano all’aeroporto LaGuardia.

Luke sorrise. “Arrestarlo per cosa?”

Ed ridacchiò. L’ascensore continuava a muoversi, sempre più su.

“Vecchio mio, sono stanco. Stavo andando a letto quando Don mi ha chiamato.”

“Lo so,” disse Luke. “Anch’io.”

Ed scosse la testa. “È da un po’ che non faccio tirate così. Non ne sentivo la mancanza.”

L’ascensore raggiunse l’ultimo piano. Si sentì un suono caldo, e le porte si aprirono.

Uscirono su un ampio corridoio. Il pavimento era di pietra lucida. Direttamente davanti a loro, a nove metri, c’erano due uomini. Erano grossi tizi in giaccia e cravatta, dalla pelle scura, forse persiani, forse di qualche altra etnia. Stavano bloccando una serie di doppie porte. A Luke la cosa non importava granché.

“Pare che il nostro usciere l’abbia fatta, quella telefonata.”

Uno degli uomini nel corridoio agitò la mano. “No! Dovete tornare indietro. Non potete venire qui.”

“Agenti federali,” disse Luke. Si avvicinarono agli uomini.

“No! Non avete giurisdizione. Vi vietiamo l’accesso.”

“Credo che non mi prenderò la briga di mostrargli il distintivo,” disse Luke.

“Già,” disse Ed. “Non ce n’è ragione.”

“Al mio via, okay?”

“Certo.”

Luke aspettГІ un attimo.

“Via.”

Erano a un metro e mezzo dagli uomini. Luke si avvicinò al suo e sferrò il primo pugno. Era sorpreso di quanto lentamente sembrava muoversi. L’uomo era di dodici centimetri più alto di lui. Aveva l’apertura alare di un grosso uccello. Bloccò il pugno facilmente e afferrò Luke al polso. Era forte. Spinse Luke più vicino.

Luke alzò un ginocchio verso l’inguine, ma l’uomo lo bloccò con la gamba. Gli mise una grossa mano attorno alla gola. Le dita si serravano come gli artigli di un’aquila, scavando nella carne vulnerabile.

Con la mano libera, la sinistra, Luke lo colpì agli occhi. Indice e medio, uno per occhio. Non era un colpo diretto, ma funzionò. L’uomo lasciò andare Luke e indietreggiò. Gli occhi gli piangevano. Sbatté le palpebre e scosse la testa. Poi sorrise.

Ci sarebbe stata una lotta.

Ecco arrivare Newsam, come un fantasma. Afferrò la testa dell’uomo con entrambe le mani, e la sbatté con forza contro il muro. La violenza fu intensa. Alcune persone sbattono la testa dell’avversario contro il muro. Ed Newsman lo fa come se stesse cercando aprire una breccia nel muro con la testa dell’uomo.

Bang!

Il viso dell’uomo trasalì.

Bang!

La mascella gli divenne floscia.

Bang!

Gli occhi gli girarono all’insù.

Luke alzò una mano. “Ed! Okay. Credo che basti così. È a posto. Mettilo giù piano. I pavimenti sembrano di marmo.”

Luke guardò l’altra guardia. Era già stesa sul pavimento, gli occhi chiusi, la bocca aperta, la testa appoggiata al muro. Ed li aveva liquidati entrambi. Luke non aveva fatto nulla.

Luke prese un paio di fascette di plastica dalla tasca e si accucciò sul suo uomo. Gli legò le caviglie. Strinse forte, come fosse un maiale pregiato. Alla fine qualcuno sarebbe venuto a tagliargliele via. Quando l’avrebbero fatto, il tizio probabilmente non avrebbe avuto sensibilità ai piedi per un’ora.

Ed faceva lo stesso con il suo uomo.

“Sei un po’ arrugginito, Luke,” disse.

“Io? No. Non dovrei neanche fare a pugni. Sono stato assunto per il cervello.” Poteva ancora sentire il punto della gola in cui l’uomo aveva stretto la mano. Avrebbe fatto male, domani.

Ed scosse la testa. “Ero nella Delta Force, come te. Ci sono entrato due anni dopo l’operazione Stanley agli avamposti di combattimento nel Nurestan. Se ne parlava ancora. Di come vi hanno lasciati lì e di come siete stati annientati. Al mattino, solo tre uomini stavano ancora combattendo. Tu eri uno di quelli, no?”

Luke grugnì. “Non sono a conoscenza dell’esistenza di…”

“Non dirmi cazzate,” disse Ed. “Secretata o meno, la storia la conosco.”

Luke aveva imparato a vivere la sua vita in compartimenti stagni. Raramente parlava dell’incendio alla base. Era accaduto un secolo prima, in un angolo dell’Afghanistan orientale così remoto che anche solo piazzarci delle truppe di terra doveva voler dire qualcosa. Era storia antica. Che nemmeno sua moglie conosceva.

Ma Ed era stato della Delta, perciò… okay.

“Sì,” disse. “Ero lì. Informazioni sbagliate ci hanno messo lì, ed è diventato il peggior incubo della mia vita.” Indicò i due uomini sul pavimento.

“In confronto questo sembra un episodio di Happy Days. Abbiamo perso nove bravi uomini. Appena prima del tramonto, siamo rimasti senza munizioni.” Luke scosse la testa. “È stato orribile. La maggior parte dei nostri ormai era già morta. E i tre fra noi che ce l’hanno fatta… Non so se siamo mai veramente tornati. Martinez è paralizzato dalla vita in giù. L’ultimo di cui ho sentito, Murphy, un vagabondo, entra ed esce dal reparto psichiatrico della Virginia.”

“E tu?”

“Io ho ancora gli incubi sull’accaduto.”

Ed stava fasciando i polsi del suo uomo. “Conoscevo un tizio che doveva ripulire tutto dopo che l’area era stata sgombrata. Ha detto che hanno contato 167 corpi su quella collina, esclusi i nostri. C’erano 21 morti tra i nemici per combattimento corpo a corpo all’interno del perimetro.”

Luke lo guardò. “Perché me lo stai dicendo?”

Ed scrollò le spalle. “Sei un po’ arrugginito. Non vergognarti di ammetterlo. E sarai anche intelligente. E sarai pure bassetto. Ma hai anche i muscoli, proprio come me.”

Luke scoppiò a ridere. “Okay. Sono arrugginito. Ma non mi chiamare bassetto.” Rise, alzando lo sguardo sull’enorme ossatura di Ed.

Anche Ed rise. Frugava le tasche dell’uomo sul pavimento. In pochi secondi, trovò quello che stava cercando. Era una scheda elettronica per la serratura digitale montata sul muro accanto alle doppie porte.

“Entriamo?”

“Dopo di te,” disse Ed.




Capitolo 12


“Non potete stare qui!” urlò l’uomo. “Fuori! Fuori da casa mia!”

Erano in un’ampia zona giorno. C’era un pianoforte a mezza coda bianco nell’angolo più lontano, e delle finestre che partivano quasi da terra e arrivavano al soffitto svelavano panorami mozzafiato. La luce del mattino si diffondeva all’interno. Vicino c’era un moderno sofà bianco e un tavolo, delle poltrone raggruppate attorno a un gigantesco schermo televisivo piatto appeso al muro. Sulla parete opposta c’era un’enorme tela, alta tre metri, con strane chiazze e gocce dai colori brillanti. Luke di arte ne sapeva qualcosa. Pensava si trattasse di un Jackson Pollock.

“Sì, ci siamo già passati con i tizi nell’ingresso,” disse Luke. “Noi non possiamo stare qui, eppure… eccoci qui.”

L’uomo non era alto. Era grosso e tozzo, e indossava una sfarzosa vestaglia bianca. Teneva in mano un grande fucile e puntava la canna nella loro direzione. A Luke sembrava un vecchio Browning da safari, probabilmente con un caricatore Winchester da 270 colpi. Quella cosa avrebbe seccato un alce a trecentocinquanta metri di distanza.

Luke si mosse verso la parte destra della stanza, Ed verso sinistra. L’uomo faceva oscillare il fucile avanti e indietro, incerto su chi prendere di mira.

“Ali Nassar?”

“Chi lo vuole sapere?”

“Sono Luke Stone. Questo è Ed Newsam. Siamo agenti federali.”

Ed e Luke circondarono l’uomo, avvicinandosi sempre di più.

“Sono un diplomatico della Nazioni Unite. Non avete giurisdizione qui.”

“Vogliamo solo farle un paio di domande.”

“Ho chiamato la polizia. Arriveranno tra poco.”

“Allora perché non getta a terra l’arma? Ascolti, è un’arma vecchia. Ha un otturatore girevole-scorrevole quella cosa. Se spara una volta, non avrà mai il tempo di ricaricarla per il secondo round.”

“Allora ucciderò lei e lascerò vivere l’altro.”

Ruotò verso Luke. Luke continuava a muoversi lungo il muro. Alzò le mani per mostrare di non essere minaccioso. Gli erano state puntate addosso così tante armi nel corso della sua vita da averne perso il conto molto tempo fa. Eppure, provava una brutta sensazione. Ali Nassar non aveva l’aria di un cecchino, ma se riusciva a sparare gli avrebbe fatto un bel buco da qualche parte.

“Se fossi in te, ucciderei quell’omone laggiù. Perché se uccidi me, nessuno può immaginarsi cosa farà quello lì. Io gli piaccio.”

Nassar non esitò. “No. Ammazzo lei.”

Ed era già dietro all’uomo, a tre metri. Coprì la distanza in un secondo. Colpì la canna facendo ruotare il fucile verso l’alto proprio mentre Nassar premeva il grilletto.

BUM!

La detonazione rimbombò fortissima tra le quattro mura dell’appartamento. Il colpo aprì un buco nell’intonaco bianco del soffitto.

Con una sola mossa, Ed allontanò l’arma, colpì con un pugno Nassar alla mascella e lo portò a sedersi su una poltrona.

“Okay, si accomodi. Con calma, per favore.”

Nassar era sotto shock a causa del pugno. Gli ci vollero diversi secondi perchГ© gli occhi ritrovassero il loro centro. Teneva una mano paffuta sul livido rosso che gli si stava giГ  formando sulla mascella.

Ed mostrò a Luke il fucile. “E questo?” Era elaborato, con il calcio intarsiato di perle e il caricatore lucido. Probabilmente era rimasto appeso a un muro da qualche parte fino a pochi minuti prima.

Luke dirottò la sua attenzione all’uomo sulla poltrona. Ricominciò dall’inizio.

“Ali Nassar?”

L’uomo era imbronciato. Aveva la stessa aria arrabbiata di suo figlio Gunner quando aveva quattro anni.

Fece un cenno col capo. “Ovviamente.”

Ed e Luke si mossero veloci, senza perdere tempo.

“Non potete farmi questo,” disse Nassar.

Luke guardò l’orologio. Erano le 7. La polizia poteva arrivare in qualsiasi momento.

Lo portarono in un ufficio appena fuori dalla zona giorno. Gli avevano tolto gli abiti. Gli avevano portato via le pantofole. Indossava dell’aderente biancheria intima bianca e nient’altro. Il suo stomaco sporgeva. Era teso come un rullante. Lo avevano fatto sedere, i polsi legati ai braccioli e le caviglie alle gambe della poltrona.

L’ufficio aveva una scrivania con un case vecchio stile e un monitor. Il processore era all’interno di una scocca in spesso acciaio, ancorata al pavimento in pietra. Non c’era un modo chiaro di aprire il case, nessun lucchetto, nessuna porta, niente. Per prendere l’hard disk un saldatore avrebbe dovuto tagliare la scocca. Non c’era tempo.

Ed e Luke erano in piedi davanti a Nassar.

“Ha un conto numerario alla Royal Heritage Bank sulla Grand Cayman,” disse Luke. “Il 3 marzo ha fatto un trasferimento di $250.000 a un conto intestato a un uomo di nome Ken Bryant. Ken Bryant è stato strangolato a morte a una qualche ora la scorsa notte in un appartamento di Harlem.”

“Non ho idea di cosa stiate parlando.”

“Lei lavora per un uomo di nome Ibrahim Abdulraman, che è morto stamattina in uno scantinato del Center Medical Center. È stato ucciso da un colpo d’arma da fuoco alla testa mentre rubava materiale radioattivo.”

Un lampo di consapevolezza attraversГІ il viso di Nassar.

“Non conosco quest’uomo.”

Luke fece un respiro profondo. Normalmente, avrebbe avuto ore per interrogare un soggetto del genere. Oggi aveva minuti. Ciò significava che forse avrebbe dovuto imbrogliare un po’.

“Perché il computer è imbullonato al pavimento?”

Nassar scrollò le spalle. Cominciava a riacquistare fiducia in sé. Luke poteva quasi vederla riemergere. L’uomo credeva in se stesso. Pensava di riuscire a ostacolarli.

“C’è un bel po’ di materiale confidenziale lì. Ho dei clienti che sono coinvolti in transazioni commerciali sulla proprietà intellettuale. E io sono, come ho detto, un diplomatico assegnato alle Nazioni Unite. Di tanto in tanto ricevo comunicazioni che sono… come definirle? Secretate. Occupo questa posizione perché sono noto per la mia discrezione.”

“Può essere,” disse Luke. “Ma avrò bisogno che lei mi dia la password in modo che possa dare un’occhiata io stesso.”

“Temo che non sarà possibile.”

Dietro a Nassar, Ed rise. Sembrava un grugnito.

“Sarà sorpreso nello scoprire che cosa è possibile,” disse Luke. “Le cose stanno così, noi accederemo a quel computer. E lei ci darà la password. Ora, c’è un modo facile per farlo, e c’è un modo difficile. La scelta è sua.”

“Non mi farete del male,” disse Nassar. “Siete già in guai seri.”

Luke guardГІ Ed. Ed si mosse e si chinГІ alla destra di Nassar. Prese la mano destra di Nassar nelle sue forti mani.

Ed e Luke si erano conosciuti la prima volta la scorsa notte, ma stavano giГ  cominciando a lavorare insieme senza comunicazione verbale. Era come se si leggessero nella mente a vicenda. A Luke era giГ  capitato in passato, di solito con tizi che avevano fatto parte di unitГ  speciali come la Delta. Alla relazione di solito occorreva piГ№ tempo per svilupparsi.

“Lo suona, quel piano?” chiese Luke.

Nassar annuì. “Ho studiato musica classica. Quand’ero giovane, ero un pianista concertista. Suono ancora per divertimento.”

Luke si accovacciò per essere all’altezza dello sguardo di Nassar.

“Tra un attimo, Ed le spezzerà le dita. Le sarà difficile poi suonare il piano. E farà male, probabilmente parecchio. Non sono sicuro che sia il tipo di dolore a cui un uomo come lei è abituato.”

“Non lo farete.”

“La prima volta, conterò fino a tre. Per darle qualche ultimo secondo per decidere cosa vuole fare. A differenza sua, noi avvertiamo le persone prima di ferirle. Noi non rubiamo materiale radioattivo con l’obiettivo di uccidere milioni di innocenti. Diavolo, se la caverà con poco in confronto a ciò che farà agli altri. Ma dopo questa prima volta, non ci saranno più avvertimenti. Mi limiterò a guardare Ed, e lui lei spezzerà un altro dito. Capito?”

“Le toglierò il lavoro,” disse Nassar.

“Uno.”

“Lei è un omuncolo senza alcun potere. Si pentirà di essere venuto qui.”

“Due.”

“Non si azzardi!”

“Tre.”

Ed spezzò il mignolo di Nassar a livello della seconda nocca. Lo fece velocemente, con pochissimo sforzo. Luke sentì lo scricchiolio appena prima che Nassar urlasse. Il mignolo sporgeva storto di lato. C’era qualcosa di osceno nell’angolo che faceva.

Luke mise la mano sotto al mento di Nassar e gli sollevГІ la testa. Nassar digrignava i denti. Aveva il viso arrossato e respirava a sussulti. Ma lo sguardo era severo.

“Era solo il mignolo,” disse Luke. “Il prossimo sarà il pollice. I pollici fanno molto più male dei mignoli. E sono anche più importanti.”

“Siete animali. Non vi dirò niente.”

Luke guardò Ed. Aveva un’espressione seria. Scrollò le spalle e spezzò il pollice. Questa volta lo schiocco fu forte.

Luke si alzò in piedi e lasciò che l’uomo strillasse per un attimo. Il suono era assordante. Poteva sentirne l’eco nell’appartamento, come le grida dei film horror. Forse sarebbe stato il caso di prendere un asciugamano dalla cucina da usare come bavaglio.

Camminava avanti e indietro per la stanza. Non gli piacevano queste cose. Era tortura, ne era consapevole. Ma le dita dell’uomo sarebbero guarite. Se una bomba sporca fosse scoppiata su un treno della metro, sarebbero morte molte persone. I sopravvissuti si sarebbero ammalati. Nessuno sarebbe mai guarito. Paragonando le due cose, le dita dell’uomo e i morti su un treno, la decisione era facile da prendere.

Nassar adesso piangeva. Del muco trasparente gli usciva da una delle narici. Respirava come un pazzo. Faceva huh-huh-huh-huh.

“Mi guardi,” disse Luke.

L’uomo fece quello che gli era stato detto di fare. Lo sguardo non era più severo.

“Ho visto che il pollice ha catturato la sua attenzione. Poi lavoreremo sul pollice sinistro. Dopodiché, cominceremo con i denti. Ed?”

Ed si spostò alla sinistra dell’uomo.

“Kahlil Gibran,” Nassar rantolò.

“Cosa? Non ho sentito.”

“Kahlil underscore Gibran. È la password.”

“Come lo scrittore?” chiese Luke.

“Sì.”

“Ma cosa significa lavorare con amore?” disse Ed, citando Gibran.

Luke sorrise. “Significa tessere la tela con fili tirati dal tuo stesso cuore, come se quella tela dovesse essere indossata dal tuo caro. Ce l’abbiamo appeso al muro della cucina. Mi piace questa roba. Credo che siamo tre inguaribili romantici.”

Luke andò al computer e fece volare le dita sul touchpad. Si aprì la schermata per l’inserimento della password. La scrisse.

Kahlil_Gibran

Apparve lo schermo del desktop. Lo sfondo era una foto di montagne con le punte coperte di neve, con prati gialli e verdi in primo piano.

“Sembra che finalmente ci siamo. Grazie, Ali.”

Luke tirГІ fuori un hard disk esterno che gli aveva dato Swann dalla stretta tasca dei pantaloni cargo. Lo collegГІ a una porta USB. La memoria esterna aveva una grande capacitГ . Avrebbe dovuto ingoiare facilmente tutto il computer del tizio. Potevano preoccuparsi piГ№ tardi di decifrare le informazioni.

CominciГІ il trasferimento file. Sullo schermo, apparve una barra orizzontale vuota. La barra cominciГІ a riempirsi da sinistra con il colore verde. Tre percento verde, quattro percento, cinque. Sotto la barra, un casino di nomi di file apparivano e scomparivano una volta copiati sul drive di destinazione.

Otto percento. Nove percento.

Fuori dalla stanza principale ci fu un improvviso fracasso. La porta si aprì con uno schianto. “Polizia!” urlò qualcuno. “Lasciate cadere le armi! A terra!”

Si muovevano nell’appartamento, buttando giù cose, spalancando porte. Sembrava che fossero in parecchi. Sarebbero arrivati tra pochissimo.

“Polizia! A terra! A terra! Buttatevi a terra!”

Luke guardГІ la barra orizzontale. Sembrava bloccata al dodici percento.

Nassar fissava Luke. La palpebre gli scendevano pesanti sugli occhi. Gli uscivano delle lacrime. Gli tremavano le labbra. Aveva la faccia rossa, e il suo corpo quasi nudo era tutto sudato. Non aveva l’aria innocente né trionfante.




Capitolo 13


7:05 a.m.

Baltimora, Maryland – A sud del tunnel Fort McHenry



Eldrick Thomas si svegliГІ da un sogno.

Nel sogno si trovava in una piccola capanna sulla cima di una montagna. L’aria era pulita e fredda. Sapeva di sognare perché non era mai stato in una capanna prima. C’era un caminetto in pietra acceso. Il fuoco era caldo e lui allungava le mani verso le fiamme. Poteva sentire la voce di sua nonna dalla stanza accanto. Stava cantando un vecchio inno religioso. Aveva una voce meravigliosa.

Aprì gli occhi alla luce del giorno.

Sentiva molto dolore. Si toccò il petto. Era appiccicoso di sangue, ma i proiettili non l’avevano ucciso. Era malato per via delle radiazioni. Se lo ricordava. Si guardò attorno. Era disteso nel fango ed era circondato da spessi cespugli. Alla sua sinistra c’era un grande specchio d’acqua, un fiume o un porto. Poteva sentire un’autostrada da qualche parte lì vicino.




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